La tua laurea serve a qualcosa?


«Scienze politiche? Una laurea inutile»: probabilmente ricorderete il siparietto che si è creato una manciata di giorni fa a Non è l’arena, dove l’imprenditore e scrittore Alberto Forchielli si è scagliato senza troppi giri di parole su una giovane laureata che lamentava la mancanza di opportunità per i giovani che studiano (il tema della discussione era il reddito di cittadinanza). Secondo l’imprenditore oggi le lauree umanistiche non servono a nulla, e per trovare lavoro bisogna studiare le materie che parlano un linguaggio universale, come ingegneria, informatica e fisica.

Forchielli, in realtà, non è nuovo a queste polemiche: oltre ai giovani stessi (cui ha dedicato un libro dal titolo eloquente) a turno ha bacchettato tutti, dalle aziende vecchie e poco innovative, al sistema universitario che è irriformabile, fino alle stesse famiglie, colpevoli di non saper indirizzare i figli e di “lasciare che studino lingue o giurisprudenza”, votandosi di conseguenza alla disoccupazione. Al di là delle opinioni in merito, la domanda è diventata ricorrente: la mia laurea serve a qualcosa?

Per rispondere a questa domanda, vale la pena di guardare subito ai dati. E quel che i dati dicono è che, almeno in teoria, sì, una laurea in tasca serve. Secondo l’ultimo rapporto AlmaLaurea su laureati triennali e magistrali, nel 2017, a un anno dalla laurea, erano occupati il 71,1% dei laureati di primo livello e il 73,9% tra i magistrali biennali (percentuali che salgono all’83,8% e all’85,6% rispettivamente a tre anni dal titolo, in leggero aumento rispetto alle rilevazioni dell’anno precedente). Rispetto ai diplomati, che lavorano in percentuali molto minori (ad un anno lavora il 35,5%, a tre anni il 45,0%, anche se è vero che molti si dedicano ancora in parte allo studio e non solo al lavoro), la laurea si dimostra come un asset utile all’ingresso nel mondo del lavoro.

Il tasso di occupazione dei laureati Stem è di 4,1 punti percentuali più alto rispetto ai laureati non Stem, e pari all’89,3%

Naturalmente, però, all’interno della popolazione dei laureati si possono tracciare molte differenze. Per corso di laurea, certo, ma anche per genere, area geografica e non solo.

Andiamo con ordine. Secondo AlmaLaurea, «a parità di altre condizioni, i laureati delle professioni sanitarie e di ingegneria risultano più favoriti. Meno favoriti, invece, sono i laureati dei gruppi disciplinari psicologico, giuridico e geo-biologico». In linea generale, la visione di Forchielli sembra quindi essere confermata: laurearsi in materie umanistiche comporta maggiore difficoltà di trovare lavoro rispetto ai laureati delle materie scientifiche.

In particolare, il tasso di occupazione dei laureati Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) è di 4,1 punti percentuali più alto rispetto ai laureati non Stem, e pari all’89,3%. Tra i laureati in materie scientifiche se la passano meglio quelli dei gruppi economico-statistico (94,8%) e di ingegneria (94,6%), mentre il gruppo geo-biologico si colloca sul fondo della scala con un tasso di occupazione pari al 78,5%.

Anche in termini retributivi le lauree Stem “pagano” di più: a cinque anni dal titolo, i laureati scientifici ricevono uno stipendio medio di 1.571 euro netti, ben il 16,4% in più rispetto ai laureati non Stem, che in media guadagnano 1.350 euro. Tant’è che i laureati delle materie scientifiche si dichiarano più soddisfatti di avere intrapreso il proprio corso di studi rispetto agli altri: per il 61,8% le lauree Stem sono ritenute “efficaci o molto efficaci” per trovare lavoro (tra i laureati umanistici la quota è invece pari al 58,6%).

Conta anche la collocazione geografica del proprio ateneo, le tempistiche con cui si ottiene il titolo e le esperienze all’estero. E in Italia, poi, fa persino differenza se sei uomo o donna

Insomma, è vero che le materie scientifiche e ingegneristiche danno molte più chance di inserirsi con successo nel mondo del lavoro. Ma è anche vero che ad influire sull’occupabilità di un giovane non è solo la facoltà che intraprende: la collocazione geografica del proprio ateneo e le tempistiche con cui si ottiene il titolo sono solo due esempi di questa variabilità. In Italia, poi, fa persino differenza se sei uomo o donna. Sempre secondo Almalaurea, infatti, gli uomini hanno l’8,2% di probabilità in più di lavorare rispetto alle donne. Anche tra le materie Stem: il tasso di occupazione maschile è al 92,5% rispetto all’85% delle donne, e pure le retribuzioni sono più alte: +23,6% per gli uomini.

Coloro che risiedono al Nord, poi, hanno il 34,1% di probabilità in più di essere occupati rispetto a chi vive al Sud, mentre l’occupabilità di chi ha studiato nelle regioni settentrionali è superiore di ben il 44,9% rispetto a chi ha studiato nel Mezzogiorno.

Ma non solo. A fare la differenza in termini di probabilità di trovare lavoro, secondo AlmaLaurea, sono anche le tempistiche di completamento del percorso universitario: in particolare, chi termina gli studi entro un anno fuori corso ha il 52,5% di probabilità in più di lavorare rispetto a chi li conclude con quattro anni di ritardo. Questo anche perché chi si laurea regolarmente è tendenzialmente anche più giovane (dove l’età è per le imprese un asset più strategico che non il voto di laurea).

La laurea aiuta a trovare lavoro, e se ne hai una scientifica ancora meglio. Ma la facoltà rimane solo uno tra i tanti fattori che influenzano l’occupabilità dei giovani

Anche le esperienze complementari rispetto al semplice studio contribuiscono ad aumentare le proprie chance di trovare lavoro in tempi brevi: in particolare, i lavoratori-studenti hanno ben l’82,1% di probabilità in più di lavorare rispetto a chi si laurea senza aver mai avuto esperienza di lavoro, e chi ha fatto un tirocinio curriculare ha il 20,6% di chance in più di trovare un’occupazione rispetto a chi non ne ha mai fatto uno. Secondo la stessa logica, chi ha avuto esperienze all’estero con Erasmus o altri programmi aumenta la propria occupabilità del 14%. E pure le competenze informatiche hanno un ruolo positivo: chi conosce almeno cinque strumenti informatici ha il 18,5% di possibilità in più di farsi assumere entro il primo anno dalla laurea rispetto a chi ne conosce solo due.

Insomma, la laurea aiuta a trovare lavoro, e se ne hai una scientifica ancora meglio. Ma la facoltà rimane solo uno tra i tanti fattori che influenzano l’occupabilità dei giovani. Non necessariamente studiare Scienze politiche significa votarsi all’inoccupabilità completa. Piuttosto, sembra corretto dire che molto dipenderà dalla serietà con cui si affronta il proprio corso di studi (qualsiasi esso sia) e da quanto ci si adopera per acquisire esperienze e competenze concrete e preziose.

Di |2024-07-15T10:05:24+01:00Marzo 4th, 2019|Formazione, futuro del lavoro, MF|0 Commenti
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