Lavorare per una ong: ecco i profili più ricercati


Cooperazione internazionale in crisi dai tanti polveroni politici che si sono sollevati in questi mesi? Macché, mai stata così in fermento: è cambiato il modo di fare cooperazione, e il mondo dell’umanitario si è adeguato. Con meno fondi pubblici destinati al settore, la ripartenza si chiama fundraising, aumento dei finanziamenti dei privati, qualità del proprio lavoro.

Il risultato è sotto gli occhi degli addetti ai lavori ma non solo: lavorare in una ong è ancora oggi un sogno che coinvolge migliaia di persone in tutta Italia. Con almeno 22mila persone impiegate e, nel solo 2018, 108 organizzazioni su 110 che hanno cercato 800 figure da inserire in 68 nazioni diverse (dati raccolti dal portale info-cooperazione.it), le possibilità non mancano. Come fare per realizzare questo sogno? Ecco la lista delle figure oggi più ricercate.

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C’è stato un tempo, non troppi anni fa, in cui la gran parte delle posizioni aperte riguardava tecnici specifici per il progetto – un ingegnere per la gestione idrica, un agronomo per la rotazione dei terreni, un chirurgo che operi in contesti di emergenza, per esempio – ma ora questa figura è ricercata nel 15% dei casi. “Sono due le professionalità che negli ultimi anni sono sempre più richieste: i manager di progetto e gli amministrativi”, spiega Maria Donata Rinaldi, coordinatrice della scuola Cospe per la cooperazione internazionale e il non profit, che dal 2005 forma almeno 230 persone l’anno con età media 28 anni e netta prevalenza femminile (sette casi su dieci). I corsi vanno da un singolo modulo di 12 ore a percorsi più articolati fino a 300 ore, e diversi sono gli strumenti di lezione, tra cui contributi video come questo.

La graduatoria di info-cooperazione, confermata anche dalle parole di Rinaldi, parla chiaro: al top con il 38% le richieste per project manager (capo progetto) e in forte crescita al 14% il personale amministrativo, in particolare il ruolo di amministratore di progetto, che affianca il project manager in rendicontazione, contabilità e relazioni amministrative con i partner istituzionali e non.

Le due professionalità sempre più richieste sono il manager e l'amministratore di progetto

Maria Donata Rinaldi, coordinatrice della scuola Cospe

Staccati dai primi tre posti ma comunque richiesti con frequenza sono il ruolo di capo missione e l’addetto a comunicazione, advocacy e marketing, figura come nel caso degli amministrativi in forte crescita e, in particolare, tra le più richieste in Italia (Paese in cui si concentrano ben 126 delle 800 richieste totali). “E’ sempre più alto il bisogno di comunicare, di spiegare come si lavora e di fare bene il fundraising”, spiega Rinaldi, “soprattutto da quando gli aiuti pubblici sono diminuiti e le imprese e i privati si sono avvicinati alla cooperazione in modo più consistente”. Ma anche per un altro motivo più recente: la criminalizzazione della solidarietà da parte anche della politica che ha minato l’autorevolezza delle organizzazione non governative: “Non è facile contrastare questi attacchi infondati ma per farlo è prioritario mettere in atto una comunicazione trasparente, capace di fare capire di cosa si parla e come si opera”.

[legacy-picture caption=”Cooperanti di Cospe al lavoro in America Centrale” image=”6c04ac10-7fb6-4e6d-bc4b-da12422a2196″ align=””]

Se comunicazione e advocacy per una ong possono essere fatti rimanendo in Italia con puntuali viaggi nei luoghi di azione, il lavoro di amministratore di progetto è invece previsto quasi sempre in loco. “E’ un ruolo di cui abbiamo molto bisogno ma è difficile da trovare: non è un capo progetto, piuttosto è più vicino a un amministratore puro”, spiega Andrea Mussi, responsabile Formazione dell’ong Coopi, che di recente ha lanciato la seconda edizione del corso di Amministratore di progetti umanitari.

“Per fare questo lavoro cerchiamo persone già esperte ma anche neolaureati in studi economici con minimo 22 anni. Detto questo, rimane fondamentale la motivazione con cui una persona vuole entrare nel mondo umanitario”, sottolinea il cooperante di Coopi. Il ruolo dell’amministratore spazia dell’accountability verso il donatore alla gestione economica del singolo progetto che deve rimanere sostenibile durante tutta la sua implementazione.

[legacy-picture caption=”Aula di formazione in un progetto dell’ong Cospe nell’Africa Subsahariana” image=”c340d64e-3972-41a4-a652-713d9e2b641f” align=””]

Definite le figure più ricercate da chi offre lavoro nel mondo della cooperazione internazionale, rimane un’ultima domanda: quali sono oggi le nazioni in cui sono attivi più progetti? Africa al primo posto (in particolare Centrafrica e zona del Sahel), seguita dal Medio Oriente, mentre è stabile in Asia e in diminuzione da tempo l’impegno in America Latina. Questo disimpegno da uno dei continenti-culla della cooperazione non nasce per volontà della singola ong, piuttosto perché sono tutte decisioni dei finanziatori che hanno oggi altre priorità d’intervento.

Non resta che entrare nel mondo della cooperazione e provare. “Un buon tirocinio. Sapere le lingue e tanta passione”, è la ricetta conclusiva che Rinaldi del Cospe lancia a ogni presente o futuro aspirante cooperatore internazionale.

Di |2024-07-15T10:05:24+01:00Marzo 13th, 2019|futuro del lavoro, Human Capital, MF|0 Commenti
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