Leadership femminile e venture capitalist: la nuova alleanza
Decidere gli investimenti con lo sguardo di una donna, migliora la finanza. È la scommessa del Gender Lens Investing, portato in Italia da Opes Italia SICAF EuVECA S.p.A., l’ultimo nato fra gli impact fund. Non fatevi ingannare, non si tratta di privilegiare, negli investimenti, le imprese con una leadership femminile per superare l’annoso gender gap che affligge il mercato del lavoro: contare le donne non basta, nemmeno se siedono nei posti di comando. Bisogna mettere sotto la lente l’intera filiera produttiva e valutare le dinamiche di potere: la prospettiva del genere incide concretamente sul prodotto, sul packaging, sulla vendita? Tutte le fasi, quando si ha a che fare con un prodotto o un servizio che ha per target la popolazione generale, incorporano i bisogni e le aspettative delle donne? Sono queste le domande che si pone chi valuta gli investimenti con la prospettiva del Gender Lens Investing. E se le fa perché «in termini di capacità di innovazione, l’impresa “diversa” funziona meglio rispetto all’impresa “non diversa”, basta guardare il numero dei brevetti depositati». A parlare così è Elena Casolari, Partner & CEO di Opes Italia SICAF EuVECA S.p.A., nato a fine 2019 per fornire capitali pazienti e supporto manageriale a imprese che puntano a migliorare la vita delle persone.
Ho scoperto che le donne possono essere in finanza restando se stesse e rendendo così più smart la finanza stessa: non perché siamo migliori, ma perché la diversità è una ricchezza.
Più diversity, più performance
Una dotazione di 35 milioni di euro, tredici soci, Opes delibererà a breve il suo primo investimento: «Due milioni di euro su un’impresa a leadership femminile, nel settore agroalimentare», anticipa Casolari.
Il Gender Lens Investing è un pilastro del modus operandi del fondo, mutuato dalla precedente esperienza di Fondazione Opes (oggi Fondazione Opes-Lcef), di cui la stessa Casolari è Presidente: operativa dal 2012, attualmente ha in portfolio 26 investimenti in imprese sociali in Africa Orientale, India e Italia, che offrono soluzioni sostenibili per il contrasto della povertà. Fra esse, «le imprese con performance economica e finanziaria migliore sono proprio quelle con una leadership femminile rilevante e un alto tasso di diversità. Crediamo molto nella diversity e nel talento femminile e siamo tra i pochi in Europa, come venture capitalist, ad applicarla», afferma Casolari.
In Kenya, per esempio, Copia ha realizzato una sorta di catalogo di vendita e consegna di beni non deperibili per le persone più povere e che vivono nelle aree rurali, penalizzate nel boom dell’e-commerce dalle difficoltà della consegna. «L’impresa è nata nel 2013, co-fondata da un uomo e una donna, con una forte diversità lungo la filiera. Oggi ha 25mila agenti, di cui 80% sono donne e punta a chiudere il 2021 con un fatturato di 40 milioni di dollari», racconta Casolari.
Un secondo esempio è Afripads, in Uganda, specializzata nella produzione locale e nella distribuzione globale di assorbenti igienici economici e riutilizzabili per 12 mesi: «Fondata anch’essa da un uomo e una donna, più piccola ma molto solida, quest’anno farà 4 milioni di dollari di fatturato». Anche in Italia Fondazione Opes-Lcef ha investito in diverse realtà fra cui Progetto Quid, che realizza capi sartoriali utilizzando gli scampoli rimasti dalla produzione industriale di grandi marchi, offrendo lavoro a persone vulnerabili.
L’unica donna
A monte della scelta di adottare la prospettiva del Gender Lens Investing c’è una riflessione «personale e collettiva», dice Casolari, che ha iniziato la sua carriera nella finanza mainstream, seguendo per 12 anni i mercati emergenti: «Da Managing Director ero sempre una delle pochissime donne in mezzo a uomini che basavano le loro decisioni su valutazioni che escludevano del tutto l’empatia e l’ascolto», ricorda.
Ho dovuto diseducarmi io per prima, per educarmi di nuovo a un approccio diverso.
I 12 anni successivi la portano nel non profit, alla guida di una Ong, Acra. Il terzo step, l’impact investing, ibrida le due esperienze: «A quel punto mi sono chiesta se fosse davvero necessario replicare quei modelli di comportamento maschili che avevo sempre conosciuto. O se invece, parlando di inclusione e di impatto, anche la stessa finanza dovesse avere un approccio diverso e inclusivo. Sono tornata a scuola, a Berlino, ho seguito un corso sul Gender Lens Investing e ho scoperto che le donne potevano essere in finanza restando donne, portando competenze diverse, una psicologia diversa, occhi diversi e così rendere più smart la finanza stessa: non perché le donne siano migliori, ma perché la diversità è una ricchezza, sempre. Ho dovuto però diseducarmi io per prima, per educarmi di nuovo a un approccio diverso. Ora questo, condiviso con i partner, è nel dna di Opes».
Perché non basta contare le teste
Investire con un approccio attento al gender «non equivale a investire in imprese che hanno tante donne nel board», precisa subito Casolari. È l’intera filiera del prodotto che va considerata: «Se voglio realizzare una palestra dichiaratamente inclusiva, con orari particolari, attenta alle persone con disabilità e poi faccio il parcheggio senza un’illuminazione adeguata… non ho pensato davvero alle donne. È questo che andiamo a vedere. Anche nella supply chain, ci interessa capire quante imprese fornitrici hanno a loro volta questa vocazione. Solo così, step by step, si può cambiare».
Nella pratica – ammette lei stessa – «è molto complesso e sfidante, perché spesso si tratta di intervenire su una cultura aziendale consolidata che per quanto si dichiari inclusiva, non lo è». Perché è un lavoro che merita comunque di essere fatto? «Intanto perché coprire il gender gap è una responsabilità di tutti. E poi come investitore è anche uno strumento di gestione del rischio: se la palestra non ha un parcheggio adatto alle donne, per restare al nostro esempio, le donne non ci andranno e quindi ci saranno meno clienti. Questo è contro il mio interesse di investitore».
Siamo tra i pochi in Europa, come venture capitalist, ad applicare il Gender Lens Investing. È complesso, perché spesso si tratta di intervenire su una cultura aziendale che per quanto si dichiari inclusiva, non lo è.
La grande scommessa
Guardando al futuro, «se vogliamo che il Gender Lens Investing non sia più qualcosa di esotico», per Elena Casolari c’è una «grande scommessa» da fare. Quella di «cominciare ad applicarlo alla finanza, proprio per far sì che i nostri fondi siano più femminili. Nel panorama dei fondi italiani, sia impact che non, le donne fra i key executive o in altri ruoli apicali sono ancora una ristrettissima minoranza. Fino a quando non cambiamo la fisionomia della finanza, il processo sarà sempre molto forzato, indiretto, faticoso… perché le cose di cui abbiamo parlato finora, solitamente gli investitori non le guardano. Se vogliamo correre più velocemente dobbiamo fare in modo che la finanza per prima sia sempre meno un campo solo maschile e faccia invece emergere i talenti femminili, perché sono quelli che quando decidono come allocare le risorse riescono a vedere le cose con un occhio diverso».