La leadership inclusiva è la chiave per guidare le aziende di domani
Lo scrittore e saggista inglese Simon Sinek definisce la leadership come “un modo di pensare, un modo di agire e, soprattutto, un modo di comunicare.” Con l’avvento della pandemia, la leadership ha dovuto fare i conti con una disruption epocale, che l’ha costretta a una revisione della propria struttura o, per dirla come Sinek, del pensiero e dello scopo che la sottendono.
Come è emerso dalla ricerca global di The Adecco Group, Resetting Normal 2021, mai come ora i leader devono trovare un modo per riconnettere le proprie persone allo scopo aziendale, aiutandole a recuperare un senso di appartenenza che da tempo, in diversi contesti, è andato perduto, schiacciato da gerarchie anacronistiche, dalla mancanza di fiducia e ascolto, dal profitto come unica metrica di successo. La ricerca aveva evidenziato, infatti, proprio “il peggioramento della motivazione dei lavoratori, delle relazioni, del senso di riconoscimento, dello spirito di squadra e della cultura aziendale” e, in risposta a questo sfilacciamento, la volontà dei lavoratori di avere leader più empatici, collaborativi, capaci di riconoscere e valorizzare l’unicità.
Ora, se è vero che le crisi sono sempre straordinarie opportunità di apprendimento, non esiste momento migliore di questo per costruire una nuova tipologia di leadership e con essa, appunto, “un nuovo modo di pensare, di agire e di comunicare”, che tenga conto delle nuove esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici.
La chiave di questo ribaltamento non può che essere l’esercizio costante dell’inclusività, che diventa paradigma, applicazione, potremmo dire by design, delle politiche di Diversity Equity & Inclusion alla struttura stessa dell’organizzazione. L’inclusività, l’uguaglianza e la valorizzazione delle differenze devono essere principi in grado di definire non solo la destinazione, ma anche il ritmo con cui giungervi. Naturalmente, non è sufficiente avere team diversificati e multidisciplinari per ottenere elevate performance, per intraprendere questo viaggio occorre una guida che comprenda e abbracci in pieno la DE&I, occorrono leader che sappiano praticare ogni giorno, su più livelli e in modo consapevole, l’inclusività e l’uguaglianza.
I dati, come quelli che emergono dalla ricerca di Deloitte The diversity and inclusion revolution, ci dicono che le aziende inclusive non solo sono sei volte più innovative e adattive, ma possono triplicare le proprie performance e raddoppiare i profitti. “Inoltre, i comportamenti di un leader inclusivo aumentano fino al 70% il senso di inclusione provato da un membro del team, che si traduce in una maggiore performance individuale del 17%, un aumento del 20% della qualità delle decisioni prese e del 29% della collaborazione fra i membri del team.”
Da questa indagine, condotta da Giulietta Bourke e Andrea Titus, sono emersi anche 6 tratti distintivi del leader inclusivo: impegno, individuale e organizzativo, a trattare la diversità come priorità; coraggio (e umiltà) di riconoscere limiti ed errori; consapevolezza dei bias; curiosità verso pensieri divergenti; intelligenza culturale nello sperimentare ambienti culturalmente diversi; collaborazione nel creare un ambiente di lavoro rispettoso e sicuro che faccia sentire tutti ugualmente accolti, ascoltati, valorizzati.
La leadership inclusiva, scrivono i due autori in un articolo per l’HBR, non ha a che fare con gesti plateali o proclami, è invece concreta, tangibile e praticata ogni giorno, solo in questo modo, infatti, può creare valore, rafforzare il senso di appartenenza, orientare le azioni verso altri e alti scopi che non siano la crescita degli utili.
Sembra evidente che in tempi opachi come quelli in cui viviamo, la relazione con l’altro sia l’unico strumento per affrontare l’incertezza del futuro e la frammentarietà del presente; il sociologo ed economista Mauro Magatti la chiama cultura della relazione, un navigare a vista avendo come uniche coordinate i legami e le connessioni reciproche.
La centralità di un contributo plurimo e di relazioni di interdipendenza – o come direbbe Magatti di “inter-indipendenza” – dovrebbe trascendere ogni classificazione. Tuttavia, quando si parla di leadership e di inclusività, c’è una questione che emerge in tutta la sua urgenza: il raggiungimento della parità di genere. Le criticità principali riguardano, da un lato, la rappresentazione femminile nelle posizioni apicali – una percentuale drammaticamente bassa rispetto al numero di donne che lavorano – e dall’altro la composizione e le condizioni dell’attuale forza lavoro, nelle cui maglie restano impigliati pregiudizi e discriminazioni di genere, che le attuali politiche di DE&I non sembrano riuscire a sbrogliare.
Servono soluzioni innovative che, e non sembri paradossale, vadano oltre il genere proprio per superarne i limiti, per rendere normale l’eccezione e concentrarsi esclusivamente sull’individuo come unico.
PHYD, nel sesto e ultimo appuntamento di WoW – Women on Wednesday, dal titolo “Inclusive leader: il potere della D&I”, ha affrontato proprio il tema della leadership inclusiva. Cosa significa? Come si costruisce? Come si riconoscono gli errori e si superano i limiti? A discuterne, con la moderazione della giornalista Elisa Serafini, Alessia Ruzzeddu, Head of Training Welfare Diversity & Inclusion Management presso Autostrade per l’Italia, Anita Falcetta, Imprenditrice creativa, Unstoppable Women per StartUpItalia, Presidente di Women Of Change Italia, co-fondatrice di Mokamusic, e Shata Diallo, Diversity, Equity & Inclusion Consultant di Mida S.p.A.
Costruttori di ponti
Esiste una scala in 5 step che misura il grado di inclusività di un’organizzazione, 5 gradi che vanno dall’omogeneità all’Inclusion, intesa quest’ultima come valore e non come mera strategia di business, nel mezzo ci sono tentativi più o meno maldestri di affrontare (e in alcuni casi persino ignorare) il tema della diversità.
Per raggiungere l’ultimo gradino della scala, secondo Shata Diallo, occorre che la leadership si interroghi innanzitutto su due aspetti: l’appartenenza e l’unicità. Bisogna, cioè, che si domandi se e cosa viene fatto per accrescere il senso di appartenenza dei lavoratori e se si dispone della capacità e degli strumenti per valorizzare le individualità.
Bisogna costruire ponti a tutti i livelli del sistema organizzativo.
Una leadership realmente inclusiva, libera dal bias e dalle aspettative di genere, è, infatti, capace di valorizzare il contributo di tutti e di promuoverne l’unicità, e questo grazie alla costruzione di ponti, non di muri.
«Bisogna costruire ponti a tutti i livelli del sistema organizzativo attraverso tre step: conoscenza di sé ovvero quanto sono consapevole dei miei bias; conoscenza degli altri ovvero quanto sono consapevole del fatto che il modo in cui guardo il mondo è filtrato dai miei “occhiali” – e qui entrano in gioco l’empatia e la capacità di cogliere la prospettiva degli altri; terzo step la costruzione di ponti: quali comportamenti e rituali posso introdurre all’interno della mia azienda per creare un contesto in grado di valorizzare appartenenza, unicità e sicurezza psicologica?»
Insieme contro il glass ceiling
Nelle realtà aziendali non inclusive esiste un soffitto di cristallo, una barriera che impedisce alle donne di fare carriera, di raggiungere posizioni apicali, è lì, visibile a tutti, a chi è al vertice e, naturalmente, a chi si trova in basso. Il glass ceiling è un fenomeno diffuso e lo dimostrano, con triste costanza, dati e ricerche da tutto il mondo. Quell’ostacolo, però, deve essere superato, il cristallo infranto, servono iniziative concrete non solo da parte delle organizzazioni, ma anche della politica e del mondo dell’istruzione, lo dice chiaramente nel corso del suo intervento Anita Falcetta, che sottolinea anche l’urgenza di fare rete tra le donne e per le donne.
Occorre rompere il muro dei bias di genere, fare squadra.
Collaborazione, ascolto, sorellanza, mentorship sono la base per la costruzione di un nuovo modello di leadership che permetta alle donne di ottenere ciò che meritano alla stregua dei colleghi uomini.
«Occorre rompere il muro dei bias di genere, fare squadra, sviluppare un modello di collaborazione all’interno di organizzazioni di tipo tradizionale, sostituendo la leadership tradizionale basata sull’autorità con una basata sul principio di autorevolezza. Dobbiamo fare in modo che il soffitto di cristallo che ci troviamo sulla testa, a causa della mentalità patriarcale che esiste e che è ancora radicata nelle nostre aziende, possa essere rotto e che poi non venga ricostruito sotto i nostri piedi quando saliamo nella stanza dei bottoni.»
Welfare inclusivo (e attrattivo)
Non c’è dubbio che l’inclusività in un’azienda passi anche attraverso le sue politiche di welfare, la capacità di sostenere le proprie persone dentro e fuori l’orario di lavoro per migliorarne non solo il livello delle prestazioni professionali, ma più in generale la qualità della vita.
Per parlare di inclusività oggi dobbiamo guardare anche al ruolo dell’uomo.
In un mercato del lavoro complesso e adattivo, welfare vuol dire soprattutto flessibilità, ed è una cosa che Alessia Ruzzeddu sa bene, grazie al suo lavoro in Autostrade per l’Italia, un’azienda storicamente maschile, per modello di business, ma da sempre molto attenta al welfare e alle azioni a supporto della famiglia.
«Per parlare di inclusività oggi dobbiamo guardare anche al ruolo dell’uomo, tra le nuove generazioni c’è un’espressa volontà di contribuire alla famiglia, parlo della paternity leave. E in questo le istituzioni stanno facendo la loro parte. La recente prassi UNI 125 del 2022 ci sta dando una mano in questo, c’è un’attenzione maggiore anche al tema del welfare, al tema del supporto alla bigenitorialità, perché non è solo la madre che deve essere supportata e garantita.»
Senza dimenticare che un welfare efficace è anche un elemento di talent attraction di grande importanza.
Per Verna Myers, attivista, cultural innovator e inclusion strategist: “Diversity è essere invitati a una festa, Inclusion è essere invitati a ballare”. Il contributo di tutti, uomini e donne, impiegati e manager, società civile e politica, scuola e mondo del lavoro, è però imprescindibile. Perché nessuno si trovi costretto a guardare gli altri ballare, seduto in un angolo.
Per guardare lo streaming dell’evento, è sufficiente registrarsi sul sito PHYD.