Leading women: perché è fondamentale sostenere l’imprenditoria femminile
51 anni. È questa la stima di tempo necessario, secondo un’indagine condotta da Accenture, Quilt.AI e Women20, per colmare il gap tra uomini e donne nel mondo del lavoro e non solo. Un intervallo lunghissimo che restituisce molto chiaramente l’urgenza di intervenire prontamente per ridurre il divario di genere che il Covid-19 e la conseguente crisi economica hanno contributo ad allargare. Soprattutto in Italia, secondo l’agenzia Eurofund il Paese europeo con il minor tasso di partecipazione femminile al lavoro, il 54, 4% contro una media del 63,5%.
Ci volevano due anni di pandemia, con 99mila donne improvvisamente senza lavoro, un’occupazione femminile indipendente diminuita del 7,8% in appena due anni, a fronte del calo del 6,1% della componente maschile, perché ci accorgessimo tutti dell’elefante nella stanza. Un elefante che si è sempre mosso incautamente, molto prima dell’emergenza sanitaria, tra gap salariali e di carriera, anacronistiche aspettative di genere e inadeguate politiche a sostegno della famiglia.
Così anche i dati sull’imprenditoria femminile non sorprendono per la loro drammaticità: su 6 milioni di imprese in Italia, solo 1,3 milioni sono guidate da donne, il 22% del totale, appena 1 impresa su 5. Stesso discorso per le startup femminili, secondo il Report del MISE, InfoCamere e Unioncamere, infatti, sono solo il 13,1% contro un 21,5% delle società di capitali.
Eppure, molte ricerche rivelano una maggiore inclinazione delle donne all’imprenditorialità. Sono, infatti, più innovative rispetto agli uomini, più attente ai bisogni del mercato e recettive nei confronti delle opportunità.
Sono trascorsi 23 anni da quando l’imprenditrice Kathy Matsui, allora analista per la Goldman Sachs, elaborò la teoria della Womenomics, sostenendo che una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro avrebbe risolto la stagnazione economica del Giappone, suo Paese d’origine, incrementando il PIL del 13%. In Italia, sempre secondo Eurofund, le donne sarebbero uno straordinario volano di crescita, producendo ricchezza per un valore pari all’11% del nostro PIL. Peccato che a oggi, invece, paghiamo con il 5,7% del prodotto interno lordo le conseguenze della sottoccupazione femminile.
Dal 1999 le criticità restano. Diventa, quindi, prioritario invertire la rotta e attuare un cambio di paradigma che includa role model, strumenti di empowerment, formazione in abito economico-finanziario, supporti sociali nell’attività di cura e nuove leggi per permettere alle donne non solo di entrare nel mercato del lavoro, ma anche di crescere e di occupare posizioni dirigenziali alla stregua degli uomini.
Nel quinto appuntamento di WOW – Women on Wednesday, la serie di PHYD dedicata all’empowerment femminile, dal titolo Leading women: la sfida dell’impresa si è parlato di imprenditoria femminile con Giada Zhang, CEO e Co-Founder di Mulan Group, Irene Facheris, Formatrice e attivista femminista e Carolina Sansoni, CEO & Founder di Talkin Pills. A moderare l’incontro, la giornalista Elisa Serafini.
Il gender gap riguarda tutti
La disparità di genere è un tema, anzi per Irene Facheris, presidente dell’associazione Bossy, comunità di divulgazione e proposte d’azione su tematiche quali stereotipi di genere, sessismo, femminismo e diritti LGBTQ, è “il” tema sul tavolo. Ignorarlo o non affrontarlo adeguatamente sono errori che oggi non possiamo permetterci in termini di costi sociali ed economici.
Per questo, deve riguardare tutti, «gli uomini, che concretamente possono cambiare le cose e che devono allenarsi ad ascoltare, e le moltissime donne, le cosiddette “ancelle del patriarcato”, che adottano una mentalità maschilista ostacolando il cambiamento».
La scuola e l’università possono fare molto per colmare il divario, eppure fanno poco, concentrando la questione, sempre che questo avvenga, nelle poche ore dedicate all’educazione civica. Il problema, lo spiega chiaramente Facheris, è che non esiste un percorso che prepari le donne a intraprendere la carriera imprenditoriale, che le sappia indirizzare verso la strada dell’economia, della dirigenza o dell’assertività.
Eppure, dati alla mano, le aziende che hanno al vertice delle donne performano meglio.
Le donne gestiscono meglio i soldi, siamo più parche e corriamo meno rischi e questo perché ci siamo sempre sentite dire che non siamo abbastanza.
If you can see it, you can be it
“Se puoi vederlo, puoi esserlo”. È quello che Giada Zhang, CEO e Co-Founder di Mulan Group, azienda leader del mondo del food asiatico in Italia, ama ripetere spesso parlando di imprenditoria femminile. Perché, se è vero, che ci sono poche donne leader, queste esistono e a loro bisogna guardare come punto di riferimento ed esempio. Lavorando in settori come quello commerciale e finanziario, a predominanza maschile, Zhang è stata spesso l’unica donna nella stanza.
Il segreto è imparare a vedere questa penalizzazione come un’opportunità. Se molto spesso sei l’unica donna nella stanza, pensa che difficilmente si dimenticheranno di te, fatti ricordare.
Fare la differenza per Zhang significa avere coraggio, barattando l’ideale della perfezione con l’istinto, la razionalità con la pancia, buttarsi, insomma, senza temere l’errore.
Il privilegio del fallimento
“La forza si costruisce sui fallimenti, non sui propri successi” diceva Coco Chanel ed è così che la vede anche Carolina Sansoni, CEO e Founder di Talkin Pills, azienda media dedicata ai giovani e al mondo del lavoro, che a soli 25 anni apre la sua startup, una piattaforma eCommerce per talenti emergenti. Quel progetto naufraga, ma le dà la possibilità di imparare moltissimo e di ricominciare con una nuova consapevolezza.
«Ad oggi il fallimento è un grandissimo privilegio e non dovrebbe essere così, soprattutto per le donne che si sentono di avere meno opportunità».
Penso che in una società che funziona tutti dovremmo avere la possibilità e l’opportunità di fallire.
Molto si potrebbe fare, suggerisce Sansoni, istituendo bandi a fondo perduto che aiutino concretamente chi, come i giovani alla prima esperienza imprenditoriale, non ha alcuna base finanziaria. Il fallimento allora non sarebbe altro che una lezione per imparare da dove e come ricominciare, un banco di prova, alla stregua di un testing trial, necessario per capire i propri limiti, i punti di forza e acquisire una maggiore consapevolezza di sé.
La giudice Ruth Bader Ginsburg, la seconda donna nella storia a entrare a far parte della Corte Suprema degli Stati Uniti, ha scritto che “le donne appartengono a tutti i luoghi in cui vengono prese le decisioni… Non dovrebbero essere l’eccezione.”
Non dovrebbero e non lo saranno.
L’evento nella sua interezza è disponibile in streaming sul sito di PHYD, per accedervi è sufficiente registrarsi qui.