Innovazione, formazione, lavoro: le linee guida italiane per il Recovery Plan
«Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) si basa su una valutazione equilibrata dei punti di forza e di debolezza dell’economia e della società italiane». Questo il punto di partenza delle linee guida che il governo italiano si è dato per sfruttare i 209 miliardi messi a disposizione dall’Europa con il programma Next Generation Eu, al fine di ripartire dalle secche della crisi scatenata dall’emergenza Covid-19.
Le linee guida rappresentano una bussola per orientare il lavoro del Ciae (Comitato Interministeriale per gli Affari Europei) che dovrà sfrondare una lista di oltre 500 progetti presentati dai ministeri. Entro il 15 ottobre, andrà inviata alla Commissione europea la bozza del piano, e da lì partiranno le interlocuzioni. Mentre per la presentazione ufficiale del piano vero e proprio la scadenza è aprile 2021.
Al tavolo del confronto, l’Italia arriva con alcuni punti fermi (per quanto generali) che mettono al centro gli investimenti in formazione, innovazione e lavoro. Temi declinati secondo tre pilastri fondamentali: modernizzazione del Paese, transizione ecologica e inclusione sociale. Per quanto riguarda l’innovazione, quindi, le linee guida pongono l’accento sulla necessità per l’Italia di rimediare al notevole gap rispetto alla media europea, «anzitutto in termini di spesa per R&S (Ricerca e sviluppo), di capacità di ritenere e attirare competenze, di percorsi formativi, di copertura e velocità delle connessioni fisiche di rete, di competenze digitali e di servizi (in special modo della Pa) direttamente e facilmente accessibili via internet».
Il governo punta a sviluppare maggiormente il concetto di identità digitale come chiave di volta per un nuovo rapporto fra amministrazione pubblica e cittadino/impresa che dovrebbe velocizzare e sburocratizzare i servizi. Per riuscirci, oltre a un’operazione di digitalizzazione degli utenti, saranno essenziali gli investimenti infrastrutturali con particolare riferimento a datacenter, cloud, pagamenti elettronici, fibra ottica e tecnologia 5G. Boost essenziali per un sistema produttivo che vuole (almeno) rimanere la «seconda manifattura in Europa» e diventare «leader nelle tecnologie di frontiera» potenziando il tessuto di pmi attraverso «processi di fusione e patrimonializzazione delle micro e piccole imprese anche stimolando la creazione di reti che possano facilitare la diffusione di conoscenze tecnologiche».
Tre pilastri fondamentali: modernizzazione del Paese, transizione ecologica e inclusione sociale. Per rimediare ai notevoli gap italiani
In tema di istruzione e formazione, invece, le linee guida puntano anche in questo caso ad allinearsi ai parametri comunitari a partire, per esempio, dal rapporto numerico fra docenti e studenti per classe, dal supporto al diritto allo studio (con lo scopo di aumentare il numero di laureati ed evitare l’esplosione del fenomeno Neet), dalla dotazione tecnologica di scuole e università (con un focus dedicato sull’e-learning, divenuto essenziale durante il lockdown).
Non mancano riferimenti anche al miglioramento del patrimonio immobiliare scolastico (riqualificazione energetica e antisismica) e alla riqualificazione del personale affinché gli insegnamenti tengano il passo delle mutate esigenze dell’economia in un orizzonte di lifelong learning. Per questo l’acronimo da tenere d’occhio è Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics), ossia quelle discipline di carattere scientifico e tecnologico a cui si dovranno dedicare percorsi di formazione superiore e lauree professionalizzanti. «Saranno creati gli innovation ecosystem», si legge, «luoghi di contaminazione di didattica avanzata, ricerca, laboratori pubblico-privati e terzo settore per rafforzare le ricadute sociali ed economiche delle attività di ricerca». Chiaro l’intento di accorciare la distanza fra accademia e mondo del lavoro.
A quest’ultimo tema è dedicato il cluster “Equità, inclusione sociale e territoriale”. Lavoro e occupazione diventano così il ponte attraverso cui raggiungere una maggiore parità di genere e territoriale che risollevi il nostro Paese dalle ultime posizioni delle classifiche europee (soprattutto in riferimento al tasso di partecipazione femminile e giovanile). Torna quindi centrale l’attenzione sulle politiche attive per il lavoro nonché le misure di contrasto al lavoro sommerso. L’obiettivo? Aumentare il tasso di occupazione di dieci punti attraverso microcredito, incentivi per l’assunzione nel Mezzogiorno e riforme fiscali ad hoc (come quella relativa al Family Act in raccordo alla riforma dell’Irpef).