“La metamorfosi del mondo”: paradigma per capire il futuro
«Non capisco più il mondo». Quante volte abbiamo pronunciato queste parole? Eppure davvero, oggi, del mondo riusciamo a capire ben poco. Il mondo, il nostro mondo, osserva il sociologo Ulrich Beck, chiede strumenti nuovi per essere compreso e, di conseguenza, affrontato. Chiede un salto di paradigma o, forse, molto di più: chiede una metamorfosi.
Oltre il rischio
Scomparso improvvisamente nel gennaio di due anni fa, Beck, tra i più originali e acuti indagatori del nostro tempo, stava lavorando a un progetto di ricerca per approfondire le tematiche del rischio in un contesto reso sempre più fragile proprio da quei fenomeni che lo hanno reso forte: interconnessione e scambio, intercultura e globalizzazione. Il rischio è solo l'altro volto del cosmopolitismo (parola chiave nel discorso sociale di Beck). Ulrich Beck non ha potuto ultimare quelle ricerche, ma ha lasciato le bozze di un libro davvero importante che esce ora in Italia con il titolo, appunto, di La metamorfosi del mondo (traduzione di Marco Cupellaro, Laterza, Roma-Bari 2017).
Oggi, scrive, tutti siamo esposti a un rischio globale – un mutamento climatico, una crisi finanziaria – ma proprio questa «traumatica vulnerabilità di tutti, aumenta la responsabilità di tutti per la sopravvivenza di tutti».
Beck parla di una comunità cosmopolita e del rischio che si sta formando, lentamente, tessendo legami di solidarietà oltre i confini nazionali e oltre le barriere convenzionali. Una società civile globale sta nascendo, dando vita a inedite forme di solidarietà. Anche se i muri ritornano, legami interculturali, intergenerazionali, interstatuali più forti li hanno già superati. Si tratta di cogliere il passaggio, anziché attestarsi su antichi confini.
Le sfide della metamorfosi
Le cose non stanno cambiando, osserva Beck, le cose sono in metamorfosi. Tra cambiamento della società e metamorfosi del mondo corre una differenza che non è solo di scala, ma di qualità di grandezza. Parlare di cambiamento nella società di mutamento sociale, è un modo abitutale per esprimere qualcosa di evidente: il cambiamento, spiega Beck, concentra l'attenzione su una caratteristica del futuro, mentre lascia o presuppone intatti i presupposti e le certezze che stanno alla base della società.
Pensare il cambiamento che stiamo attraversando in termini di metamorfosi significa invece cogliere il nodo cruciale: sono cambiati i parametri, perché sono cambiate le certezze che fondano il nostro mondo.
Per questo, una volta avvertita, la metamorfosi provoca uno stato di choc. Ma metaforfosi significa soltanto che ciò che fino a ieri era impensabile, oggi non lo è più. Mettersi nella condizione di pensare ciò che ritenevamo impensabile è, per Ulrich Beck, una condizione essenziale per cogliere il positivo dei mutamenti. I profeti di sventura affollano le strade, ma le loro profezie aiutano ben poco.
Ecco perché «la metamorfosi del mondo comprende la metamorfosi dell'immagine del mondo, che a sua volta ha due dimensioni: la metamorfosi dell'inquadramento generale (framing) e la metamorfosi della pratica e dell'agire». La pratica, spiega Beck, chiede un certo grado di routine. Interventi di politica sociale rischiano di trasformarsi in azioni poco riflessive e, posti in essere per contrastare una crisi, finiscono per alimentarla. Al contrario, le azioni sono cariche di innovazione. Oggi abbiamo bisogno di azioni, che spezzino la routine.
Per lo studioso della Risikogesellschaft (la società del rischio) dobbiamo superare numerose “istituzioni zombie”, ancora operanti, benché non adeguate alle nuove esigenze sociali e alle nuove sfide economiche e del lavoro. Queste istituzioni sono un ostacolo alla comprensione e all'azione. Una delle istituzioni zombie più ingombranti, scriveva alcuni anni fa Beck, è quella della piena occupazione che, per decenni, è stata il principio guida degli economisti ed è stata persino «istituzionalizzata mediante la legislazione che la imponeva come politica obiettiva per la gran parte dei paesi aderenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)». Oggi, la sfida della metamorfosi impone di ripensare ogni cosa, anche il concetto di occupazione alla luce di una nuova solidarietà cosmopolita.
Di contro, Beck sembra suggerire la necessità di ripensare anche le istituzioni, con forme anche giuridiche che vadano oltre i vecchi statuti. C'è chi ha avanzato l'ipotesi che le cosiddette società benefit possano essere una forma di nuova istituzione, non un semplice ibrido fra le vecchie.
Anche perché la metamorfosi invocata da Beck non è una cambiamento: riguarda tutti e modifica radicalmente i rapporti tra organizzazioni e individui. A questi ultimi, tocca prenderne atto e ridisegnare le istituzioni in forma consona affinché la metamorfosi del mondo da occasione di crescita non diventi fattore di destabilizzazione radicale.
[legacy-picture caption=”” image=”3e0bca9a-af38-4d5a-b5f9-885d4d03d7d3″ align=”left”]Verso la comunità del rischio
Il futuro è carico di rischi ma, proprio per questo, ricco di consapevolezza e spazio per una nuova solidarietà. Beck introduce così, nell'ultima parte del suo lavoro, la nozione di comunità di rischio cosmopolite o comunità di destino. Si tratta di una passaggio importante perché, di fronte alla crisi dello Stato-nazione e delle agenzie di socializzazione, si può avere una risposta secca e pessimista ("non ci sono nuovi soggetti o vettori di cosmopolitismo e solidarietà globale") oppure si può cogliere proprio nel vento della metamorfosi l'affermarsi di un nuovo soggetto, magari definito dall'unione di macro soggetti come le megalopoli mondiali (e non a caso c'è chi parla di una rinascita delle città-Stato).
«Senza una lingua per il futuro», insegnava Beck, nel corso di una conferenza alla Duma, nel 2001, vivremo in una società «dove parole come "guerra", "violenza", "crimine", "terrorismo" indicherano tutto e niente lasciando l'uomo in balia dei suoi fallimenti». Ma dalla paura può anche nascere una lingua nuova, che sappia cogliere l'affermarsi di un nuovo legame sociale e renda l'uomo nuovamente artefice del proprio destino.
Il valore delle generazioni
Beck però propone una terza via, dove «la politica delle città mondiali si trasforma in politica mondiale che collega governance locale e globale e si pone in competizione e cooperazione con la politica mondiale nazionale-internazionale e in cooperazione con la subpolitica globale dei movimenti della società civile». Ecco perché, in questa lettura, appare importante la ridefinizione in atto dello spazio pubblico inteso come spazio urbano. Le città diventano quindi il luogo dove il rischio viene affrontato, la metamorfosi vissuta e il futuro ridisegnato in funzione dell'emergere delle nuove generazioni. Generazioni che Beck chiama «del rischio globale»: giovani capaci di futuro, di speranza, di cognizione e pratica del digitale, ma anche consapevoli che il mondo è un frattale di complessità crescenti e le sfide che ci pone sono tali proprio perché continuamente mutanti.
«L'avventuroso cammino del genere umano è iniziato dalla polis» – spiega Beck. «La città ha creato la democrazia. (…) Oggi, di fronte ai rischi globali lo Stato-Nazione sta fallendo. Nell'attuale mondo cosmopolitizzato delle minacce globali, le città – che storicamente sono state il terreno sociale dei movimenti civili – potrebbero tornare a essere fonte di speranza». Speranza per la democrazia, per il lavoro, per la relazione sociale. Speranza concreta per le generazioni.