Micro Jobs: come si allenano le macchine e le intelligenze artificiali


Riconoscere gli animali in un’immagine, risolvere un captcha, trascrivere il testo di una cartolina, cliccare ripetutamente “like”. Dietro le intelligenze artificiali, gli assistenti virtuali e i post di Facebook condivisi milioni di volte, si nascondono microlavoratori situati per lo più in Paesi emergenti e pagati anche 1 centesimo di dollaro per task. Sono loro, nuovi operai digitali retribuiti a cottimo, che “allenano” le app e le macchine di cui ci serviamo ogni giorno. Una nuova forza lavoro, con tanto di annunci e un mercato del lavoro ad hoc. Delocalizzato soprattutto tra India, Bangladesh e Nepal.

È quello che ha raccontato Antonio Casilli, professore associato di Digital Humanities al Telecommunication College of the Paris Institute of Technology, nel suo intervento nel corso del “Jobless Society Forum” organizzato da Fondazione Feltrinelli in collaborazione con The Adecco Group a Milano.

Le intelligenze artificiali non nascono già così intelligenti, ma si “alimentano” di intelligenza umana. Se serve un sistema che identifichi automaticamente i gatti nei video di YouTube, ci deve essere prima un umano che mostri all’intelligenza artificiale cos’è e che forma ha un gatto, taggando milioni di foto raffiguranti i gatti. Questa operazione di tagging diventa quindi un lavoro. E per ogni tag impressa, si viene retribuiti con una certa somma. Le competenze richieste sono basse, la creatività pure, e il salario lo è ancora meno.

Ma il valore del mercato dei microlavori a cottimo è tutt’altro che basso. Secondo un calcolo della Banca mondiale, i microworkers valgono fino a 400 milioni di dollari. In totale il mercato dell’online outsourcing ha un valore di 4,8 miliardi di dollari, destinato a crescere fino a 15-25 miliardi entro il 2020.

«L’effetto dell’intelligenza artificiale sul lavoro non è la grande sostituzione dei lavoratori con delle intelligenze artificiali, ma la sostituzione del lavoro formale con micro-lavoro precarizzato e invisibilizzato», ha spiegato Antonio Casilli. «Nonostante si parli di micro-lavoro, siamo davanti a un vero mercato del lavoro e non a un fenomeno di nicchia, con veri e propri annunci di lavoro».

Per avere un panorama delle offerte dei microlavori digitali offerti, basta andare su Amazon Mechanical Turk, la piattaforma creata da Amazon in cui aziende e sviluppatori comprano intelligenza umana per le loro applicazioni. Per un centesimo di dollaro si chiede ad esempio di collezionare indirizzi email tramite i canali di YouTube e risolvere i relativi captcha. Per 5 centesimi la mansione richiesta è di scrivere cosa si vede nelle immagini di vecchie cartoline. Tra le piattaforme più note, poi, ci sono Upwork, la cinese Zhubajie, Freelancer e Taskcn. Mettendo insieme le principali 13 piattaforme, si arriva a una massa di 100 milioni di lavoratori iscritti. Una fetta importante della forza lavoro. Senza dimenticare le segretissime fabbriche dei clic, anche note come click farm, dove gli operai digitali a turno cliccano su alcuni link o mettono mi piace a pagine Facebook che in realtà non hanno scelto.

Ma in fondo ognuno di noi nel suo piccolo è un microlavoratore invisibile che lavora per allenare le intelligenze artificiali. Prendiamo Google Translate: se ci viene proposta una traduzione che non ci piace, siamo invitati a suggerire la nostra versione. Google registra la nostra traduzione e la immagazzina. Così abbiamo lavorato per Big G. Gratis, ovviamente.

Di |2024-07-15T10:04:35+01:00Luglio 5th, 2017|futuro del lavoro, Human Capital, MF|0 Commenti