Migranti, in azienda possono fare la differenza
Conoscono più di una lingua. Hanno dimestichezza con più culture. E molto spesso per arrivare fino in Italia hanno percorso tragitti difficili, durati diversi mesi, in alcuni casi anni. I migranti sono portatori di un bagaglio di risorse personali di alto valore, ma non sempre la società ricevente è in grado di riconoscere e mettere a frutto questo potenziale. «Il modello italiano d’integrazione è basato sull’inclusione a basso profilo e sul luogo comune che i migranti debbano fare i lavori che gli italiani non vogliono fare, di bassa qualità, precari e sottopagati», spiega la professoressa Laura Zanfrini, Responsabile Settore Economia e Lavoro di Fondazione ISMU. «Ci troviamo davanti a due problemi, uno di discriminazione verso l’immigrazione e un altro che riguarda proprio la struttura economica del nostro Paese: il sottoutilizzo di capacità e risorse che impoverisce la qualità del lavoro».
E allora come le aziende italiane devono invertire la rotta e uscire fuori dai luoghi comuni? «Per valorizzare il ricco patrimonio di cui i migranti sono portatori», continua Zanfrini, «è cruciale sviluppare le metodologie e gli strumenti disponibili per il riconoscimento delle loro soft skill». Fondazione Ismu ha messo online un repertorio di pratiche aziendali che, su tutto il territorio nazionale, mirano a coniugare istanze di inclusività e obiettivi di competitività e innovazione, creando un modello di inclusione lavorativa in grado di valorizzare le competenze dei migranti.
Il modello italiano d’integrazione è basato sul luogo comune che i migranti debbano fare i lavori che gli italiani non vogliono fare
Il repertorio è stato creato nell’ambito del progetto di ricerca DimiCome (Diversity Management e Integrazione. Competenze dei migranti nel mercato del lavoro), realizzato da Fondazione ISMU e co-finanziato dal Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI), di cui la professoressa Zanfrini ricopre il ruolo di responsabile scientifico.
Obiettivo di DimiCome è promuovere l’integrazione economica dei migranti tramite la valorizzazione delle loro peculiarità e competenze – in particolare quelle sviluppate grazie al percorso migratorio e alla condizione di doppia appartenenza –, massimizzandone l’impatto positivo sulla competitività aziendale. Un obiettivo delineato prima che esplodesse l’emergenza Covid-19, ma che oggi assume una straordinaria attualità. DimiCome ha mappato oltre 60 aziende in cinque diverse Regioni Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Puglia e Veneto. Queste spaziano dall’impresa multinazionale, all’azienda di dimensioni medio-grandi fino alla piccola o micro-impresa, e appartengono a settori differenti: da quello manifatturiero a quello ospedaliero o della cura, dai servizi per l’ambiente a quelli integrati o alla persona, dalla cultura alla formazione o sviluppo di progetti, dall’agricoltura al commercio, dall’edilizia alla ristorazione-hospitality, dalla logistica fino ai trasporti.
È il caso dell’azienda veneta Stiga Spa, che opera nel settore metalmeccanico. Per lei lavorano 260 collaboratori immigranti a fronte degli 800 totali e alla fine degli anni ’90, quando l’azienda ha reclutato un numero ingente di lavoratori stranieri, ha costruito delle reti di collaborazione con i Comuni limitrofi per far fronte alla necessità abitativa dei lavoratori e delle loro famiglie.
O ancora Nonsolocarta Service in Puglia, che si occupa di forniture all’ingrosso e al dettaglio di imballaggi. Su 15 dipendenti due sono immigrati che hanno ottenuto il lavoro grazie al dialogo tra l’azienda e le realtà del territorio tra cui la Caritas della diocesi di Andria e l’associazione MigrantesLiberi.
L'esperienza di vita dei migranti, e tutto il percorso migratorio, ha fatto in modo che sviluppassero soft skills fondamentali in azienda
Questi sono solo alcuni esempi di aziende che, per promuovere l’inclusione lavorativa e la valorizzazione delle competenze dei migranti, realizzano una molteplicità di interventi, come ad esempio pratiche di Diversity Management, formazione, sostegno all’auto-imprenditorialità, programmi di welfare aziendale, progetti per promuovere la cultura dell’inclusione e del dialogo interculturale nelle comunità di riferimento.
«Per il progetto abbiamo scelto di investire sul riconoscimento e la valorizzazione del background migratorio perché siamo conviti che questo possa rappresentare un vero valore aggiunto per le aziende italiane», spiega Laura Zanfrini. «I migranti hanno più competenze linguiste, interculturali, e di mediazione. La loro esperienza di vita, tutto il percorso migratorio, spesso tortuoso, ha fatto in modo che sviluppassero soft skills fondamentali in azienda. Tra cui il Problem solving, la capacità di resistere allo stress, il sapersi rapportare a situazioni molto complesse. La sfida vere è rendere queste competenze, di cui spesso anche loro sono inconsapevoli, visibili a tutti»
Delle oltre 60 aziende ne sono state selezionate 15 che hanno costituito l’oggetto di uno studio più approfondito dal quale prenderà le mosse il disegno di un kit formativo che sarà diffuso nei prossimi mesi, gratuitamente, a tutte le aziende italiane.
«Questi mesi ci hanno resi tutti più consapevoli della necessità di un cambio di paradigma che rimetta al centro la dignità dei lavoratori e delle lavoratrici, la qualità del lavoro e la valorizzazione dei talenti individuali, la capacità di coniugare obiettivi di profitto e responsabilità sociale di impresa, la sostenibilità delle scelte di sviluppo, il ripensamento della globalizzazione per come è stata finora interpretata»,continua Zanfrini. «Altrettante sfide rispetto alle quali i percorsi di inserimento di migranti e rifugiati costituiscono una sorta di ‘cartina di tornasole’, e che consegnano alle imprese l’opportunità di favorire un vero e proprio salto di qualità del modello italiano di integrazione, nel quadro di un riposizionamento competitivo non più procrastinabile e che ci aiuta a guardare con speranza al futuro che ci attende».
La capacità di ascolto, accoglienza e far emergere il talento dei lavoratori non riguarda solo il campo dei migranti. «L’approccio delle aziende con i lavoratori immigrati è paradigmatico dell’approccio con qualsiasi lavoratore che in azienda porta anche la sua vita, le sue esperienze», chiosa Zanfrini. «Riconoscere queste competenze e metterle a valore rende l’azienda più giusta e inclusiva ma anche più competitiva».