La riqualificazione necessaria dopo il Covid-19


«La pandemia ha accelerato le tendenze esistenti nel lavoro a distanza, nell’e-commerce e nell’automazione. E il 25% di lavoratori in più, rispetto a quanto stimato in precedenza, potrebbe dover cambiare occupazione a breve». La premessa alla base del rapporto di McKinsey “The Future of Work after Covid 19” non lascia scampo: l’impatto del Covid-19 sul mondo del lavoro a livello mondiale sarà dirompente, destinato a premere sull’acceleratore del cambiamento anche all’uscita dalla pandemia.

Per la precisione, sono 100 milioni i lavoratori che da qui al 2030 dovranno trovare un impiego diverso, acquisendo nuove competenze. La società lo ha stimato analizzando i dati di otto Paesi con diversi modelli economici e di mercato del lavoro: Cina, Francia, Germania, India, Giappone, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti. Insieme, questi otto Paesi rappresentano quasi la metà della popolazione mondiale e il 62% del Pil.

In linea generale, spiega McKinsey, i lavori che vedranno una trasformazione più ingente sono quelli dove la prossimità fisica è maggiore, come già si è visto durante la pandemia: la sanità, i servizi di cura della persona, il servizio clienti in presenza e molte professionalità legate alle attività di svago e viaggio. In alcuni casi, come quello del servizio clienti all’interno di negozi, banche e altri servizi, lo scambio, almeno parzialmente, si digitalizzerà. Questo comporterà una riduzione dei posti di lavoro in questi campi, così come per alcune figure all’interno degli aeroporti o nella ristorazione, per esempio.

Il lavoro d’ufficio, naturalmente il più diffuso all’interno delle economie avanzate (un terzo di tutti i posti di lavoro), invece, ha potuto e potrà più facilmente adattarsi alle forme di lavoro da remoto, anche in futuro. Mentre le forme di lavoro di produzione all’aperto e di manutenzione, come i cantieri edili, sono quelle che meno subiranno gli impatti a lungo termine del Covid-19, visto lo scarso contatto personale e lo svolgimento dell’attività prevalentemente in spazi esterni.

All’uscita dalla pandemia, tra il 20 e il 25% dei lavoratori delle economie avanzate potrebbe continuare a lavorare da casa fra i tre e i cinque giorni a settimana

In generale, spiega McKinsey, sono tre i grandi trend che la pandemia ha innescato e che verranno mantenuti anche dopo la fine dell’emergenza.

Il primo è, naturalmente, il lavoro da remoto, che proseguirà anche dopo la pandemia, sebbene in maniera ridotta. Secondo le stime di McKinsey, all’uscita dall’emergenza tra il 20 e il 25% dei lavoratori delle economie avanzate potrebbe continuare a lavorare da casa fra i tre e i cinque giorni a settimana. Questo significherebbe un aumento di quattro o cinque volte maggiore rispetto a prima del Covid-19, un cambio dalle notevoli conseguenze anche geografiche, nei termini in cui sempre più persone lasciano le grandi città per spostarsi verso i centri più piccoli, più accessibili a livello di prezzi e di vita.

Allo stesso tempo, però, non bisogna pensare che tutto il lavoro svolto da remoto possa essere efficace tanto quanto quello in presenza. Secondo McKinsey, tutto ciò che attiene alla negoziazione, alla comunicazione di decisioni delicate, al brainstorming e all’avviamento al lavoro dei nuovi dipendenti, per esempio, rischia di perdere efficacia se svolto a distanza. Ciò nonostante, molte aziende intendono comunque puntare, nel prossimo futuro, sulla riduzione degli spazi di ufficio anche del 30%, con la conseguenza che i servizi di ristorazione nei dintorni degli uffici e anche i viaggi di lavoro potrebbero ridursi in termini di domanda (i viaggi di piacere e il turismo, invece, probabilmente vedranno un rilancio dopo la pandemia).

Se con il virus i servizi di e-commerce e altre transazioni virtuali come la telemedicina, l’online banking e lo streaming sono aumentati fortemente, poi, allo stesso tempo anche i servizi fisici di consegna a domicilio, trasporto e stoccaggio hanno visto una forte accelerazione. In generale, spiega McKinsey, gli ambienti lavorativi dove si trova la più alta componente di interazione personale sono anche quelli dove lo sviluppo di intelligenza artificiale e automazione vedranno l’accelerazione maggiore.

In questo senso, l’impatto della pandemia sulla tipologia di lavori disponibili a livello mondiale sarà anche più vasto rispetto a quanto preventivato prima dell’avvento del coronavirus. In particolare, l’impatto negativo più pesante si avvertirà fra i lavori nell’ambito della ristorazione e nei servizi di vendita, così come tra le professioni di supporto in ufficio.

Negli Stati Uniti, ad esempio, i servizi di assistenza clienti e di ristorazione potrebbero perdere fino a 4,3 milioni di unità, mentre i servizi di trasporto potrebbero aumentare di 800mila unità. La domanda di lavoratori in ambito sanitario e scientifico, poi, probabilmente crescerà in maniera ancora più rapida. Nel primo caso per rispondere ai bisogni legati all’aumento della longevità, nel secondo per nutrire la crescente richiesta di persone che sappiano creare, utilizzare e mantenere le nuove tecnologie.

Nel lungo periodo, secondo McKinsey, più della metà dei lavoratori poco qualificati potrebbe dover cambiare lavoro nella direzione di un mestiere più qualificato

A causa dell’impatto della pandemia sui posti di lavoro poco qualificati (dove si registreranno le perdite maggiori), la stima è che la crescita più forte avverrà tra i lavori altamente qualificati. Nel lungo periodo, secondo McKinsey, più della metà dei lavoratori poco qualificati potrebbe dover cambiare lavoro nella direzione di un mestiere più qualificato, dovendo acquisire competenze diverse (e più avanzate) per poter mantenere un impiego.

Come detto, si tratta di 100 milioni di lavoratori, 1 ogni 16 a livello mondiale. Il 12% in più rispetto a prima della pandemia, e fino al 25% in più nelle economie avanzate. I lavoratori più svantaggiati sono quelli che in misura maggiore dovranno affrontare transizioni lavorative, soprattutto perché impiegati nei settori più impattati dal virus. In Europa e negli Stati Uniti, fra le categorie con le maggiori probabilità di un cambio di impiego dopo il Covid-19 rientrano i lavoratori senza titolo di studio universitario, i membri delle minoranze etniche e le donne.

In conclusione, secondo McKinsey, le aziende e i decisori politici possono ricoprire un ruolo preminente nel facilitare i processi di transizione e l’acquisizione di nuove competenze da parte dei lavoratori. Programmi di formazione specifici possono essere promossi soprattutto da parte delle aziende, le quali dovrebbero anche ad analizzare come organizzare il lavoro da remoto sulla base di specifiche funzioni, più che di intere professionalità. Alcuni datori di lavoro si stanno già concentrando, ai fini della selezione di nuove risorse, sulle competenze di cui sono alla ricerca, più che sui titoli di studio. Questo costituisce un ulteriore elemento di aiuto alla transizione. In più, la possibilità di lavorare da remoto potrebbe consentire di coinvolgere nuovi lavoratori che, per motivi diversi, non avrebbero potuto trasferirsi vicino al posto di lavoro, magari in una grande città.

Dalla parte dei decisori politici, infine, lo sviluppo delle infrastrutture digitali è uno degli strumenti con cui più si possono aiutare le aziende nella transizione. McKinsey ricorda come, anche nelle economie avanzate, quasi il 20% dei lavoratori nelle aree extraurbane non abbia accesso ad Internet. Dal punto di vista legislativo, poi, i governi possono agire per trovare nuove forme di protezione sociale e professionale per i lavoratori autonomi e per coloro che si trovano in un momento di formazione, in ottica di consolidamento del nuovo mercato del lavoro. I pacchetti di aiuto e rilancio delle economie post-Covid, in questo senso, costituiscono un’opportunità unica per sostenere e promuovere la transizione positiva verso il mondo del lavoro del futuro. A patto, naturalmente, di saperli spendere bene.

Di |2024-07-15T10:06:20+01:00Aprile 19th, 2021|Formazione, futuro del lavoro, MF|0 Commenti