Meno politica e meno diseguaglianze: le sfide europee per creare buona occupazione
«Siamo in un periodo di transizione, come durante la rivoluzione industriale: non stiamo creando nuovi lavori per sostituire quelli vecchi e il problema è che questa transizione è molto più difficile, perché si tratta di passare da un lavoro tipicamente industriale a un nuovo modello in settori altamente specializzati, come il digitale e la tecnologia, che richiedono un alto grado di istruzione», spiega Joan Ramón Rosés, direttore del dipartimento di storia economica alla London School of Economics and Political Science. Rosés affronta il tema delle disuguaglianze territoriali, non più dovute, come in passato, al divario tra ricche regioni industrializzate e regioni agricole, ma alla presenza di nuovi settori lavorativi, concentrati in pochissimi luoghi al mondo. Professore associato di storia economica all’Università Carlo III di Madrid dal 2000 al 2013, parla delle sfide future della società che riguardano la creazione di nuove opportunità di lavoro, delle nuove frontiere dell’educazione, della necessità di nuova formazione per persone intorno ai 50 anni per reintegrarle nel nuovo mercato del lavoro, e delle competenze di cui avremo bisogno per avere successo nel futuro.
[legacy-picture caption=”Joan Ramn Rosés” image=”dbdddec4-f078-49ef-be46-e2b7dc960eab” align=”left”]Che misure può prendere lo Stato per creare nuovi posti di lavoro?
Penso che siamo in un processo di transizione, come durante la rivoluzione industriale, durante la quale chi faceva i vecchi lavori li stava perdendo e non si muoveva verso quelli nuovi. Al giorno d’oggi abbiamo bisogno di 30-40 anni per creare nuovi lavori. Farò un esempio: la Svezia ha avuto una grandissima crisi nel 1840 nell’industria degli stivali nel sud del Paese. La crisi è nata perché i prodotti erano troppo cari per il mercato internazionale, così il governo svedese ha dato dei finanziamenti a tutte queste persone perché andassero a vivere al sud e studiassero uno o due anni per avere un nuovo lavoro. Ma in questo caso è stato facile, perché si è trattato di una transizione da un lavoro semi specializzato a uno simile, come un lavoro in fabbrica o nel campo dell’ospitalità. Ora il problema è che la transizione è molto più difficile, perché si tratta di passare da un lavoro tipicamente industriale a uno nuovo, nei settori del digitale e della tecnologia, altamente specializzati, che richiedono un alto grado di istruzione. In questo sistema, in cui i nuovi lavori non sono per tutti, non si possono formare persone di 50 anni per lavori assolutamente diversi.
Che cosa può fare il governo?
Solitamente la formazione è solo per i giovani o è “education for life”, nel caso per esempio di ricercatori e accademici, non per persone che hanno più di 50 anni, per le quali cambiare lavoro è difficile se non sono altamente qualificate. Il problema si pone dunque con persone che hanno una professione che è diventata inutile. Per esempio in Usa ci sono 2 milioni di camionisti. Tra 10 anni i camion diventeranno automatici. Com’è possibile educare 2 milioni di persone a fare un nuovo lavoro, che probabilmente implica conoscenze informatiche e nuove competenze, quando la loro sola professione è quella di guidare? Inoltre molte professioni stanno scomparendo. Stiamo perdendo lavori di medio livello, pagati piuttosto bene e fatti da persone di ceto medio. Non stiamo parlando di lavori pagati poco.
A quali modelli guardare?
Gli spagnoli danno una grande importanza all’essere preparati in una data materia mentre in Inghilterra siamo molto più concentrati nel dare alla gente le capacità di imparare. In Spagna per esempio se vuoi diventare avvocato, devi studiare legge per 4 anni, dopo di che quell'ambito coincide con la vita professionale. Sei un avvocato, ma non sei molto flessibile. In Inghilterra chi studia storia economica lo fa perchè gli piace davvero la materia, e il piano di studi dura tre anni, è molto flessibile. Dopo si può fare un master di 1 o 2 anni e diventare avvocato. Se ti stanchi del diritto puoi scegliere un altro master e cambiare professione. Quindi in Inghilterra formiamo le persone perché siano indipendenti, perché siano in grado di scrivere molto bene, e abbiano la capacità di fare ricerca. L’approccio anglosassone è diverso da quello continentale. Gli Stati Uniti hanno come l’Inghilterra un sistema flessibile. Bisogna essere molto più flessibili, non concentrati su una sola materia, ma essere in grado di avere una conoscenza generale.
Qual è il ruolo delle aziende nel promuovere l’occupazione?
In Spagna le aziende sono molto diverse da quelle dello Uk, che investono sulla formazione delle persone. Penso che le aziende dovrebbero investire sui loro lavoratori e che molte non lo facciano perché sono molto piccole, ma è necessario che capiscano che è importante, perché è difficile ottenere esattamente ciò che vogliono sul mercato. Per esempio in Spagna le aziende mettono inserzioni di lavoro nei giornali, del tipo: “Vogliamo un ingegnere specializzato che parli 6 lingue”. Poi si lamentano che non trovano la figura professionale. Questo sistema non è efficiente. Bisogna investire nelle persone.
Qual è il ruolo dell'Europa come facilitatore di buona legislazione per la creazione di nuovi lavori?
In seguito alla globalizzazione l’economia si è concentrata in poche aree nel mondo e il problema è che l’Europa in quanto istituzione non sta agendo di fronte a questo problema. Vediamo grandi città come Parigi e Londra che stanno crescendo molto velocemente e altri luoghi che stanno collassando e la politica europea non sta cooperando perché cerca di salvare le città in crisi, e non fa una politica reale per valutare come migliorare le cose. Penso che la politica abbia fallito da molti anni. Abbiamo speso troppo nella produzione agricola quando ci sono poche persone che lavorano in campagna; abbiamo speso troppo per mantenere persone in aree in cui non hanno lavoro, e sia l’Europa sia i singoli Paesi hanno invece speso troppo poco per promuovere una migliore educazione. La politica europea ha il problema di mediare con i governi nazionali. Non è chiaro quello che vogliano i governi europei, le istituzioni e la Commissione europea. Se la gente in Europa spende male i finanziamenti europei qual è il senso di darli? Per esempio in Spagna costruiamo molte autostrade e stazioni ferroviarie. Non penso che questo debba essere fatto con fondi europei, e ritengo che in generale la Ue non riesca ad agire al di fuori delle decisioni nazionali.
Come invertire il trend?
Il solo modo per colmare le disuguaglianze regionali è avere molta più integrazione. Bisogna che ci sia la stessa tassa sul reddito per tutti in Europa, le stesse tasse indirette per tutti e avere un governo economico europeo, e questo è un problema grave, perchè in caso contrario non riusciremo mai a risolvere le criticità.
Quali sono le cause principali delle disuguaglianze regionali?
In passato le disuguaglianze erano dovute al divario tra ricche regioni industrializzate e regioni agricole. Se diventavi industrializzato diventavi ricco. Ora non c’è più questo divario, ma la presenza di nuovi settori altamente specializzati, come il settore digitale e tecnologico, concentrati soltanto in pochissimi luoghi al mondo. La finanza è globalizzata, la gente che si occupa di finanza vive a Londra perchè è il centro finanziario del mondo, e ovviamente tutto questo produce moltissime disuguaglianze. Per quanto riguarda l’Europa il nuovo problema è che ci sono pochi posti che producono moltissimo reddito e che crescono sempre di più. Non ci sono più molte regioni industrializzate, ma poche aree geografiche che hanno successo, intorno alle quali spesso vivono moltissime persone povere. A Londra c’è una grandissima concentrazione di persone ricche, che devono la loro ricchezza al fatto che lavorano nei nuovi settori, altamente specializzati. Il Guardian riporta che 60mila persone guadagnano più di 150.000 sterline all’anno in Gran Bretagna, di queste 47 mila vivono a Londra e 6 mila vivono addirittura in un solo quartiere della capitale inglese, Kensington. Quindi il 10% delle persone più ricche di Londra vive in un solo quartiere. Londra ha un’alta percentuale di zone incredibilmente ricche ma anche zone incredibilmente povere.
Secondo lei come dovrebbe cambiare l'ecosistema formativo europeo?
Penso che sia molto importante avere un network al di fuori del governo, e avere un sistema che sia molto più indipendente e locale. Il modo migliore per avere università molto buone non è dipendere dallo Stato, ma dare loro molta indipendenza per renderle in grado di prendere le decisioni. È un sistema molto più centralizzato. La London School of Economics è un’élite mondiale, ed è una charity. Tutto il denaro che ricaviamo viene investito nell’università o in borse di studio e il nostro lavoro è quello di migliorare la società. È in questo che investiamo il nostro denaro, e non abbiamo bisogno del governo per farlo. In Inghilterra e in Svezia ci sono molte cose che non sono fatte dal governo. In Inghilterra per esempio c’è un giorno in cui puliamo la campagna, come fanno anche in Italia. Ci sono moltissime charity nel Paese. È la società che organizza le cose, non c’è bisogno del governo per tutto. Nelle scuole ci sono diverse ore all’anno che i bambini dedicano a lavorare nelle charity. Gli edifici storici sono riparati dalla lotteria nazionale del Regno Unito, che è una charity, ed è possibile diventare membro del national trust. Nonostante la partecipazione della gente, la società inglese ha molti problemi, perché ci sono parecchie differenze sociali, e perché la transizione al nuovo modello è difficile.