Piano nazionale nuove competenze, ecco cosa prevede


Le conseguenze della pandemia sul mondo del lavoro sono state ben visibili fin dai primi mesi del 2020. L’economia, come tanti altri settori, ha visto un’accelerazione di molte tendenze in atto da tempo. La transizione digitale e quella per la sostenibilità ambientale erano già una realtà quando è salito per la prima volta il numero dei contagi, ma negli ultimi due anni sono diventate una necessità più grande, un’esigenza non più rimandabile.

Le rapide trasformazioni del mondo lavoro mettono in luce l’importanza, in questa fase, di investire in formazione e aggiornamento professionale. È per questo che il governo ha messo a punto il “Piano nuove competenze”, che servirà proprio per rimodulare e potenziare la formazione in Italia: il provvedimento ha il duplice obiettivo di riorganizzare l’aggiornamento dei lavoratori in transizione e dei disoccupati grazie al rafforzamento del sistema della formazione professionale, e la definizione di livelli essenziali di qualità per le attività di upskilling e reskilling.

Il Piano rientra nella cornice del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e contribuisce al completamento della Missione 5 “Inclusione e coesione”. Il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha firmato, lo scorso 10 dicembre, il Decreto di adozione del Piano, poi trasmesso al ministero dell’Economia per la controfirma. In totale, il governo è pronto a mettere sul piatto 7,2 miliardi per le politiche attive del lavoro e creare quel ponte tra formazione e lavoro di cui c’è bisogno da molto tempo.

 

I numeri del Piano

Dalle stime diffuse dal governo, il Piano nuove competenze dovrebbe coinvolgere circa 800mila lavoratori nell’immediato, di cui 300mila solo per il rafforzamento delle competenze digitali. In Italia oltre metà della popolazione adulta in età lavorativa, si legge nel Piano, è «potenzialmente bisognosa di riqualificazione».

Nel nostro Paese, sono più del 55% le persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni che non hanno competenze digitali di base, a fronte di una media europea del 44% circa. È vero, c’è una quota molto alta di popolazione anziana, ma è colpa anche di un basso livello di istruzione.

Quest’ultimo fattore, come scrive il governo nel suo documento, impatta non solo sulle prospettive legate all’occupazione o sulla possibilità di fare carriera, ma «a essere seriamente compromessi sono anche l’esercizio della partecipazione civica e della cittadinanza attiva, perfino l’accesso a servizi fondamentali quali quelli legati all’educazione, alla formazione o alla fruizione della protezione sociale e sanitaria».

Inoltre tra i lavoratori in Italia c’è una particolarità che può rappresentare uno scoglio difficile da superare: chi partecipa di più a programmi di formazione sono i lavoratori con più anni di istruzione alle spalle e con occupazioni più qualificate. Al contrario, chi è scarsamente qualificato e ha più di 45 anni generalmente ha una probabilità più bassa di essere coinvolto in attività di formazione, rendendo sempre più complesso l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di queste figure.

In un quadro più ampio, l’intero “Piano nuove competenze” dovrà coinvolgere anche i giovani che non studiano, non si formano e non lavorano (Neet), che in Italia sono 2,1 milioni di persone (numero in crescita negli ultimi 24 mesi). E poi, ancora, sono previsti percorsi di accompagnamento al rientro nel mercato del lavoro per disoccupati e beneficiari di forme di sostegno (come il Reddito di cittadinanza ).

 

I tre pilastri

Con il nuovo Piano, il governo disegna una riforma di ampio respiro di tutto il capitolo delle politiche attive e della formazione professionale. Poggiando su tre pilastri.

Il primo è il programma “Garanzia occupabilità lavoratori” (Gol), il cui orizzonte temporale coincide con quello del Pnrr e si tratta quindi del quinquennio 2021/2025.

Il programma Gol è il vero perno della riforma delle politiche attive del lavoro, prevede cinque diversi percorsi di attivazione e si rivolge ad almeno 3 milioni di beneficiari da raggiungere entro la fine del quinquennio. Donne, disoccupati di lunga durata, persone con disabilità, percettori del reddito di cittadinanza, giovani under 30 e lavoratori over 55 dovranno comporre il 75% della platea.

Le risorse complessive sono pari a 4,4 miliardi di euro, cui si aggiungono 600 milioni di euro per il rafforzamento dei Centri per l’impiego (di cui 400 già in essere e 200 aggiuntivi) e 600 milioni di euro per il rafforzamento del sistema duale.

Il secondo pilastro è il programma di investimento “Sistema duale”, che promuove l’acquisizione di nuove competenze da parte dei giovani tra i 15 e i 25 anni, spingendo sull’alternanza scuola-lavoro e sul contratto di apprendistato duale per incrociare il sistema dell’istruzione e della formazione con il mercato del lavoro.

Entro il 2025, si punta ad avere almeno 135mila ragazzi in più impegnati in percorsi che coniugano lezioni in aula e formazione, valorizzando anche strumenti come l’apprendistato.

L’obiettivo è ridurre la discrepanza tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e i programmi formativi del sistema d’istruzione e formazione.

Infine c’è il Fondo nuove competenze, istituito in via sperimentale nel 2020 e confermato in legge di bilancio. Questo fondo, finanziato con la liquidità in arrivo dal React Eu, è nato per contrastare in maniera più diretta gli effetti della pandemia sull’economia. Le imprese che hanno stipulato accordi dove è prevista una rimodulazione dell’orario di lavoro possono adeguare le competenze dei lavoratori, destinando parte dell’orario alla formazione. Ma è lo Stato a sostenere, al posto delle aziende, gli oneri relativi alle ore di formazione, compresi i contributi previdenziali e assistenziali.

Di |2024-07-15T10:06:45+01:00Gennaio 24th, 2022|Formazione, Human Capital, MF|0 Commenti
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