Quasi 1 milione di disoccupati: la generazione di mezzo degli over 35 ha bisogno di formazione continua
Né giovani, né anziani. La classe tra i 35 e i 49 anni, a guardare gli ultimi dati Istat sull’occupazione relativi ad agosto 2017, è quella messa peggio. Il numero di disoccupati in questa fascia è salito a 996mila unità: quasi un milione. E nella stessa area aumentano gli inattivi e diminuiscono gli occupati. Non solo: è in questo bacino di popolazione, che ha ormai superato la più difficile fase di ingresso nel mondo del lavoro, che si concentra pure la quota più alta di disoccupati di lunga durata. Cioè quelli che cercano e non trovano un lavoro da ormai più di un anno.
Rispetto allo scorso anno, tra i 35-49enni si trovano 147mila occupati in meno. Dall’Istat precisano che su questa cifra influisce anche il calo demografico nella fascia d’età, ma a guardare bene l’incidenza dei disoccupati rispetto alla popolazione di riferimento continua ad aumentare. Parliamo di un bacino di circa 13 milioni di persone, più o meno la stessa popolazione della fascia 50-64 anni, dove però i disoccupati sono 400mila in meno.
Il problema è che al momento non esistono sgravi fiscali, incentivi e prestiti destinati agli over 35. Le uniche misure in campo sono destinate agli under 35 o agli over 50. E anche i nuovi sgravi che il governo sta pensando di inserire nella prossima legge di stabilità non dovrebbero riguardarli.
La soluzione potrebbe chiamarsi lifelong learning, l’apprendimento permanente e stabile nel tempo, separato dalle singole esigenze aziendali.
Oltre ad accendere un faro di riflessione su questa generazione, che è quella che ha vissuto in pieno la precarizzazione del lavoro prima e la crisi economica poi, si dovrebbe pensare a misure che rendano i lavoratori della “generazione di mezzo” ancora appetibili sul mercato del lavoro. Un italiano 40enne oggi, al di fuori del mercato del lavoro, rischia di non avere infatti competenze adeguate per ricollocarsi. Ed è qui che si crea la spirale della disoccupazione di lunga durata: sei disoccupato e resti disoccupato. E gli imprenditori preferiscono formare un 20enne anziché un 40enne.
La soluzione potrebbe chiamarsi lifelong learning, l’apprendimento permanente e stabile nel tempo, separato dalle singole esigenze aziendali. Una formazione continua che, secondo i dati Ocse, è collegata non a caso a minori percentuali di educational mismatch, ovvero il disallineamento tra il livello di istruzione di un lavoratore e le richieste necessarie a svolgere quel lavoro. E l’Italia in questo è maglia nera d’Europa, con un diplomato su tre e un laureato su cinque che ritengono che la loro attività lavorativa potrebbe essere svolta anche con un titolo di studio inferiore a quello posseduto. In Francia, ad esempio, è stato introdotto da poco il “conto personale di formazione” e ogni lavoratore ha diritto a un certo numero di ore di formazione, in modo da stare al passo con le richieste del mercato in vista di una potenziale ricollocazione.
Senza dimenticare l’uscita dal mondo del lavoro che attenderà quelli che oggi hanno tra i 35 e i 49 anni. Secondo le simulazioni dell’Inps, tra una interruzione contributiva e un’altra, chi è nato negli anni ottanta dovrà lavorare fino a 75 anni per avere una pensione media più bassa del 25% rispetto a quella dei propri genitori. Favorire le soluzioni di previdenza integrativa, facilitandone l’accesso anche con retribuzioni adeguate, è la chiave per evitare una generazione futura di pensionati indigenti che avranno bisognosi di forme di assistenza che andranno ancora una volta a pesare sulle casse dello Stato.