I robot nel futuro dell’edilizia e della sanità
Non indossano la mascherina e i guanti, non si stancano mai, non rischiano di farsi contagiare dai pazienti. Durante la pandemia, la tecnologia robotica ha permesso a molti ospedali di prendersi cura dei malati in maniera più sicura e, molto spesso, anche più efficiente. L’abbiamo visto anche in alcune strutture italiane, come l’ormai famoso Tommy dell’ospedale di Varese: si tratta di uno strumento dalle fattezze vagamente umane che permette il monitoraggio e il telemetraggio dei pazienti; un computer mobile che si muove tra reparti e corsie, il primo a richiedere l’intervento del personale sanitario in caso di anomalie.
Per medici e infermieri si tratta di un grande aiuto in una fase di sovraccarico di lavoro come quella che va avanti da ormai quasi un anno: i robot non accusano la stanchezza, al massimo scaricano le batterie, ma dopo un giro di alimentazione energetica tornano attivi e operativi.
Inoltre c’è l’enorme vantaggio economico, ambientale e logistico di non dover “vestire” Tommy e altri robot con i dispositivi di protezione individuale (dpi), come mascherine, guanti e camici protettivi. Perché ovviamente non sono soggetti al contagio da parte dei pazienti. In questo modo i robot permettono ai medici di dialogare con i pazienti da remoto, senza rischiare a loro volta. È una sorta di teleassistenza sanitaria.
A questo proposito occorre però sottolineare che al centro di tutto resta ancora il rapporto tra personale sanitario e paziente: questo non sarà sostituito, e non sarà assolutamente posto in secondo piano dal moltiplicarsi degli assistenti robotici. Anzi, per i malati di malattie infettive che devono restare in quarantena, isolati per diversi giorni, il contatto umano – dopo tutte le precauzioni del caso – diventa ancor più importante.
Anche per i robot che si aggirano tra i reparti degli ospedali vale insomma un principio basilare della tecnologia: è uno strumento a disposizione dell’uomo, che deve usarlo per velocizzare, semplificare, moltiplicare e ampliare le sue possibilità, ma non è pensato per sostituire il corpo e la mente dell’uomo.
Vale ovviamente in tutti i contesti. E in misura maggiore dove ci sono compiti che richiedono creatività, intelligenza emotiva, capacità decisionali e interpretative, e flessibilità.
I robot come Canvas o HadrianX nell’edilizia, o Tommy nella sanità, sono il miglior esempio di quello che si intende per integrazione robotica sul posto di lavoro.
Ma ci sono anche molti altri settori in cui lo sviluppo di robot sempre più sofisticati sta ridisegnando gli standard di lavoro. Un esempio è quello dell’edilizia. L’automazione del comparto dell’edilizia con la robotica è ancora da considerarsi un processo lento ma probabilmente inevitabile: si tratta di un segmento di mercato non particolarmente incline ai cambiamenti, vagamente conservatore in questo senso. Ma è uno di quei campi in cui è chiaro che ci sono diversi compiti che possono essere – e in parte già sono – automatizzati.
Ai robot potrebbero affidate le mansioni più ripetitive e pericolose, permettendo ai lavoratori di evitare ambienti ad alto rischio di infortuni: è una soluzione win-win in cui aumenta la sicurezza sul lavoro mantenendo i livelli di produttività costanti, o forse ritoccandoli al rialzo.
Ci sono esempi molto differenti di applicazioni delle nuove tecnologie nei cantieri. Sono già molto usati i droni, che non intervengono direttamente sui lavori ma facilitano i rilievi aerei, la sorveglianza dei cantieri e in alcuni casi anche il trasporto di materiali. Soprattutto offrono grandi vantaggi in fase di progettazione, con la possibilità di monitorare con visuale aerea sia l’area di intervento, sia lo stato di avanzamento dei lavori.
Altri robot permettono invece di intervenire direttamente sui lavori, come nel caso di HadrianX: un robot muratore realizzato dalla società australiana Fastbrick Robotics. Si tratta di un enorme braccio meccanico di estrema precisione, capace di posizionare circa 1000 mattoni in un’ora: offre la possibilità di installare di volta in volta sul suo software una mappa 3D del cantiere, poi basta mettergli a disposizione il materiale e il lavoro più pesante è fatto. Secondo i suoi realizzatori, Hadrian può costruire in tre giorni una casa completa di 180 metri quadrati, con tre camere e due bagni.
È un progetto ovviamente molto costoso, ancora un prodotto esclusivo – Fastbrick Robotics ha investito 10 anni di studio e circa sei milioni di dollari – ma è chiaramente un segnale che l’evoluzione tecnologica è destinata a sfondare in un settore in cui i robot possono farsi carico di lavori molto pesanti per l’uomo.
Un altro progetto interessante è quello dell’azienda californiana Canvas: la società di San Francisco ha messo a punto un piccolo gioiellino della robotica che sfrutta l’intelligenza artificiale per intonacare le pareti. Il robot Canvas è stato già impiegato in diversi cantieri, compreso quello dell’aeroporto internazionale di San Francisco. Si tratta di una macchina grande poco più di un forno da cucina, dotata di uno scanner laser e di un braccio robotico: quando entra in una stanza, il robot scansiona le pareti, il suo sensore valuta quelle non ancora intonacate e poi si mette al lavoro. E non fa pausa né per il caffè né per il pranzo.
Certo, ha bisogno dell’input umano per essere azionato e per dare il via alle operazioni. Ma è esattamente quel che si intende per integrazione robotica sul posto di lavoro. I robot come Canvas o HadrianX, o ancora Tommy per quanto riguarda il settore sanitario, sono il miglior supporto possibile per il lavoro dell’uomo, o almeno è quel che dovrebbero diventare.