Robot e Intelligenza artificiale al lavoro per le persone con disabilità
I robot e in particolare la crescita dell’intelligenza artificiale robotica può creare opportunità significative per facilitare l’accesso al mondo del lavoro delle persone più fragili o con disabilità. Una risoluzione del Parlamento europeo, datata febbraio 2017, “Norme di diritto civile sulla robotica” evidenzia come i robot oggi non sono soltanto in grado di svolgere attività che erano tipicamente ed esclusivamente umane, ma hanno sviluppato caratteristiche cognitive, in particolare la capacità di apprendere dall’esperienza e di prendere decisioni quasi indipendenti, che li rende ormai agenti capaci di interagire con l’ambiente circostante e di alterarlo in modo significativo. Il robot può così diventare un “companion” con un ruolo importante non solo nella riabilitazione ma anche nell’assistenza e nella compagnia, nella "riparazione" o nel "miglioramento" degli esseri umani (cfr la Risoluzione europea), tanto da dover porre «un’attenzione particolare alla possibilità che nasca un attaccamento emotivo tra gli uomini e i robot, in particolare per i gruppi vulnerabili (bambini, anziani e disabili)».
Furio Gramatica è Head of Technology Innovation and Health Technology Assessment alla Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus, una realtà all’avanguardia nella Smart Health e nelle tecnologie disruptive, che da poco ha stretto un’alleanza strategica con l’Istituto Italiano di Tecnologia per l’applicazione in ambito sanitario del robot R1, che verrà “educato” a entrare nelle case come robot assistivo-riabilitativo e nelle palestre come robot riabilitativo, ma anche per lo sviluppo di esoscheletri a costi accessibili. Con lui immaginiamo lo scenario del futuro. «L’intelligenza artificiale cambierà lo scenario del lavoro per le persone con disabilità in tre modi: il linguaggio, il rilevamento delle abitudini e dell’ambiente», esordisce Gramatica. Sul versante del linguaggio avere un’AI in grado di comprendere il linguaggio naturale – basti pensare a SIRI – crea un’interfaccia potente fra una persona con disabilità motoria e il mondo. Speech and recognition e speech synthesis, entrambe le cose sono importantissime per chi usa la tecnologia come strumento di lavoro: «avere una tecnologia che capisce cosa gli stiamo chiedendo, facendolo semplicemente con la voce, è un grande passo», afferma Gramatica.
L’accomodamento ragionevole del futuro, per le persone con disabilità, comprende certamente anche l’intelligenza artificiale
Il secondo punto è la conoscenza dell’ambiente, con due scenari: una persona sul posto di lavoro e una persona che deve andare al lavoro facendo percorsi non ripetitivi o che viaggia per lavoro. «Questo ha a che fare con le smart cities e l’ambient intelligence, riuscire a comunicare con gli oggetti che stanno nell’ambiente è un punto chiave: l’AI (Artificial Intelligence) lavorando con i big data metterà insieme i dati che vengono dagli oggetti, valuterà tante variabili, mettendo assieme tanti dati e disomogenei fra loro, ed estrarrà una proposta di decisione, la più adatta a te, che tu sarai in grado di valutare», immagina Gramatica.
E una volta arrivati sul posto di lavoro? «Normalmente per le persone con disabilità si progetta la postazione di lavoro in base al criterio dell’accomodamento ragionevole, ad esempio con una ergonomia personalizzata. L’accomodamento ragionevole del futuro comprende anche l’intelligenza artificiale. L’obiettivo, per una persona con disabilià, è controllare tutti gli ausili in maniera centralizzata, non avere un ausilio per ogni singolo problema. Per fare una cosa non basta un ausilio che supporti la tua funzione mancante, perché contano anche la richiesta e l’ambiente. Se la richiesta è diversa, non sempre il tuo ausilio è adeguato. Mettere la persona con disabilità nelle condizioni di avere su di sé la centralizzazione del controllo dell’ambiente le consente di “parlare” con un oggetto solo (l’AI) che capisce la consegna e attiva l’ausilio che serve. L’AI diventa un hub, un companion, una interfaccia tra l’esigenza esterna e la necessità di interagire con i diversi ausili».
Il terzo ambito di applicazione riguarda la rilevazioni delle abitudini, un settore che conta già moltissime app. Qui il robot con intelligenza artificiale diventa davvero un’assistente personale che conosce le abitudini, i problemi, i bisogni: una “segretaria” che oggi in genere hanno solo le funzioni lavorative più elevate, cui spesso le persone con disabilità non arrivano. «Questo però solleva grosse domande sulla privacy e sulla data security», conclude Gramatica.
[legacy-picture caption=”” image=”8628d768-19e1-4153-9d4f-ec24c63e79ee” align=””]È solo esercizio dell’immaginazione? Tutt'altro. Microsoft ad esempio sta già testando “Emma Watch”, un dispositivo indossabile per contrastare il tremore tipico del Parkinson. “Emma Watch” è ancora in fase di test: ha le sembianze di un orologio da polso, al cui interno un meccanismo di vibrazione comandato da un tablet è in grado di stabilizzare i tremori alle mani del paziente, grazie all’utilizzo di sensori e intelligenza artificiale in grado di rilevare e monitorare i sintomi complessi associati alla malattia. L’intuizione è che delle vibrazioni localizzate sul polso possano “spostare” l’attenzione del cervello e contrastare il tremore. La soluzione è quella di creare qualcosa di facile da usare e indossare, che non sembri un dispositivo medico: un orologio. Lo ha sviluppato Haiyan Zhang, 39 anni, ricercatrice e Innovation Director di Microsoft Research. Il nome viene dalla prima persona che lo ha utilizzato, Emma Lawton, 33 anni, una graphic designer, a cui nel 2013 è stato diagnosticato il Parkinson: in un istante se ne sono andate due cose per lei sacre, disegnare lettere e linee. Emma da anni non riusciva più a scrivere il suo nome, ora lo fa con linee precise. Emma ha indossato per la prima volta l’orologio che porta il suo nome nel giugno 2016 (foto sopra): la prima volta che è stata registrata ed è finita in un documentario della BBC, "The Big Life Fix”.
[legacy-picture caption=”” image=”930b45fe-2604-4839-800c-e68ee199477d” align=””]Da quando ho indossato il "mio orologio" intelligente ho paura di toglierlo, sono spaventata all'idea di romperlo, perché ce n'è solo uno
Da oltre un anno Emma Lawton indossa abitualmente l'Emma Watch quando lavora: disegna app e gadget per Parkinson's UK ed è anche consulente per un'azienda che sta traghettando l'industria del turismo verso la trasformazione digitale. «Il dispositivo non ferma il mio tremore, ma mi dà il controllo della scrittura, che non sarà perfetta ma è migliore», dice Emma (qui sotto nell'immagine, la scrittura di Emma senza dispositivo e indossando il dispositivo). Zhang invece lavora per sviluppare ulteriormente la tecnologia, esplorando l'uso dei sensori e dell'intelligenza artificiale per rilevare e monitorare i complessi sintomi associati al Parkinson, dalla rigidità del corpo alla lentezza dell'andatura, dalle cadute ai tremori.
[legacy-picture caption=”” image=”123b6d1b-117c-4372-8dbb-1f74de32062c” align=””]Un altro progetto di ricerca Microsoft è "Seeing AI", che con un’app, una fotocamera intelligente e un cellulare dà alle persone non vedenti informazioni e descrizioni del mondo circostante: riconosce i volti delle persone, descrive le caratteristiche del viso, l’età approssimativa, le emozioni che esprimono, consente di leggere istantaneamente un documento semplicemente fotografandolo, identifica i prodotti attraverso il loro codice a barre, descrive le immagini che appaiono nelle app come Twitter o WhatsApp e nelle mail.
Foto di copertina by Unsplash. Le foto relative a "Emma Watch" sono di Brian Smale