Nuovo servizio civile: un trampolino verso il mondo del lavoro
Il servizio civile sta mutando pelle. È non è solo una questione nominale. Il passaggio dal servizio civile nazionale al servizio civile universale segna un cambio di passo per quella che in molti definiscono come una delle poche politiche giovanili del nostro Paese. Con il bando 2018 la vecchia formula istituita con la legge n. 64 del 2001 che in questi anni ha consentito a 400mila ragazzi di fare esperienza di volontariato (con un rimborso mensile di 433 euro) in uno dei cinque tradizionali settori d’impiego (assistenza, educazione e promozione culturale, patrimonio artistico e culturale, ambiente e protezione civile) incomincerà ad essere sostituita dal nuovo format nato con il decreto legislativo n.40 del 2017.
Cosa cambia in concreto? L’obiettivo del Governo è quello di fare in modo che a tutti ragazzi che faranno richiesta sarà data la possibilità di scendere in campo. Per avere un ordine di grandezza: nel 2017 a fronte di circa 104mila domande sono stati avviati 53mila giovani. Per centrare l’obiettivo all’appello quindi mancherebbero 50 mila posti. «Con il nuovo meccanismo», interviene il sottosegretario al Welfare Luigi Bobba, «il servizio civile sarà aperto a tutti i giovani che desiderino intraprendere questa esperienza e avrà una vocazione europea, infatti i nostri ragazzi, compresi gli stranieri regolarmente soggiornanti, potranno prestare servizio negli Stati membri dell’UE. In particolare, una importante novità garantisce ai soggetti ammessi a svolgere il servizio civile universale in Italia la possibilità di effettuare un periodo di servizio, fino a tre mesi, in uno dei Paesi membri dell’Unione Europea, ovvero di usufruire per il medesimo periodo di un tutoraggio finalizzato alla facilitazione dell’accesso al mercato del lavoro.
Il servizio civile sarà aperto a tutti i giovani che desiderino intraprendere questa esperienza e avrà una vocazione europea
Continua il sottosegretario: «In particolare la riforma orienta gli investimenti formativi degli enti accreditati verso i giovani meno favoriti, offrendo loro un’opportunità sia di impegno civico e volontario che di acquisizione di nuove competenze, spendibili sul mercato del lavoro». La prospettiva “professionalizzante” è quindi uno dei cardini della riforma. Del resto la conferma che un’esperienza nel mondo del sociale fornisce un ventaglio di competenze e soft skills altamente spendibili nel mondo del lavoro, lo ribadiscono anche i recenti dati pubblicati per Franco Angeli in “Giovani verso l’occupazione. Valutazione d’impatto del Servizio Civile nella cooperazione sociale” a cura di Liliana Leone e Vincenzo De Bernardo.
In base ai risultati della ricerca, a un anno dal termine del servizio civile la percentuale di occupati tra i giovani che l’hanno svolto è più alta del 12% rispetto a quella di chi non l’ha svolto, quota che si alza al 15% dopo tre anni. Non solo: la quota di disoccupati di lungo corso è maggiore del 23% tra chi non ha svolto il servizio, mentre, a parità di occupazione, chi ha prestato servizio è più soddisfatto economicamente (+6,5%). Risultati resi possibili, scrivono gli autori, dall’accrescimento del capitale umano dei volontari, inteso come «insieme di conoscenze e abilità spendibile sul mercato del lavoro» e dallo sviluppo del capitale sociale, ovvero l’insieme di «norme condivise, relazioni di fiducia e valori che regola le relazioni tra individui e gruppi».
[legacy-picture caption=”Volontari di Anpas in servizio civile” image=”2c291d99-38c9-4a3e-9be6-8abc885d20fc” align=””]«Il servizio civile non nasce come misura né diretta né indiretta di politica attiva del lavoro», sottolinea uno dei due curatori, Vincenzo De Bernardo, responsabile del Servizio Civile per Confcooperative. «Tuttavia sin dalla fase di selezione dei volontari, la componente motivazionali solidaristica e quella legata alla ricerca del lavoro sono tra loro strettamente connesse».
Quanto ai risultati occupazionali, il primo degno di nota è che la metà dei rispondenti afferma di aver lavorato in modo continuativo a termine del servizio, mentre solo il 23% dichiara di non aver mai lavorato. Come prevedibile, il settore lavorativo prevalente al termine del servizio è quello del non profit (59,4%), ma la fetta di chi trova impiego nel profit non è assolutamente marginale.
In base ai risultati della ricerca, a un anno dal termine del servizio civile la percentuale di occupati tra i giovani che l’hanno svolto è più alta del 12% rispetto a quella di chi non l’ha svolto
Gli effetti positivi sull’occupazione in generale si esprimono comunque a ridosso del termine dell’esperienza di servizio civile, dal momento che metà dei soggetti che l’hanno terminato da meno di tre mesi si dichiara occupato al momento della rilevazione. Tra coloro che non hanno svolto il servizio, invece, a distanza di un anno dalla domanda, la percentuale è inferiore di 12 punti. Queste differenze si amplificano nel tempo: la percentuale di occupati nel gruppo di controllo si mantiene più bassa di 14-15 punti percentuali anche a distanza di 3-5 anni.
Un secondo importante vantaggio che hanno gli ex volontari è quello di avere dei percorsi lavorativi meno accidentati e più continuativi, e una tendenza di +6,5 punti percentuali a dichiararsi maggiormente soddisfatti delle proprie condizioni economiche.
Il reddito annuale risulta essere abbastanza simile nei due gruppi, ma il lavoro è caratterizzato da maggior imprevedibilità e da periodi di disoccupazione più frequenti e più lunghi per coloro che non hanno svolto il servizio civile: nel campione di controllo si registra infatti una proporzione molto più elevata di disoccupati di lunga durata (+23%) e quasi il quadruplo di iscrizioni ai Centri per l’Impiego.