Social Selling e Personal Branding: parole “magiche” per il futuro delle aziende e del lavoro


Sapevate che oggi il 70% delle nuove startup fallisce nel giro di due anni? Una morte prematura che si potrebbe evitare facilmente, se solo si mettessero gli strumenti e le competenze giuste in campo. «Spesso si estinguono non perché il contenuto di innovazione non sia valido, ma perché i giovani startupper non si pongono il problema di creare una rete di vendita all’inizio. Puntano tutto sulla qualità tecnologica, ma non fanno fatturato e quindi non riescono a reinvestire in tecnologia. Si diventa pazzi per i contenuti innovativi, ma non c’è nessuno che si dedichi a rendere il business solido sul mercato». A parlare è Danilo Rivalta, senior vice president di Tas Group e ceo di The Go To Market Company, un’azienda nata proprio con l’obiettivo di risolvere il problema del gap generazionale tra nuovi professionisti digitali delle startup ed esperti delle vendite, attraverso la creazione di “ponti” tra le competenze per favorire la scalabilità del business.

Perché il problema dell’operatività delle nuove imprese, in fondo, si sostanzia tutto lì. Questo stesso tema è stato al centro di Lost in Sales, from virtual teams to real sales, evento organizzato da The Go To Market e tenutosi al Talent Garden di Milano a fine ottobre, per sottolineare la necessità di unire i saperi, da un lato quelli tecnologici delle neo imprese, dall’altro l’esperienza decennale degli esperti di vendita, per contribuire allo sviluppo e al successo del nuovo mercato digitale. E per rendere più competitivo il Belpaese sul piano internazionale.

Offrire prodotti e servizi all’avanguardia è sì la base, ma saper “vendere” se stessi e la propria merce è altrettanto importante, nell’era del mercato digitale.

«In Italia non abbiamo ancora una startup unicorno, cioè quelle che superano la valutazione di 1 miliardo di dollari», dice Rivalta. L’assenza di un filone di startup nel nostro Paese che traini uno specifico settore di mercato si fa sentire, e sul piano dell’innovatività delle PMI siamo messi anche peggio: «Siamo indietrissimo su tutta la linea, e anche quando parliamo di aziende che fanno prodotti innovativi, spesso poi non lo sono nella comunicazione». Perché offrire prodotti e servizi all’avanguardia è sì la base, ma saper “vendere” se stessi e la propria merce è altrettanto importante, nell’era del mercato digitale.

È qui che si inseriscono due parole magiche per il successo delle imprese, due competenze strategiche che saranno sempre più imprescindibili per qualsiasi azienda, soprattutto se digitale per natura: il social selling e il personal branding. Cosa sono è presto detto. Il primo punta a instaurare una vera e propria relazione con il pubblico attraverso approfondimenti, notizie ed informazioni utili, mirati a costruire rapporti di fiducia. È grazie al social selling se, ad esempio, un’azienda di abbigliamento sportivo crea su Facebook una community di runner, oppure condivide contenuti che interpellano direttamente i propri clienti tipo. Un’attività, insomma, che va molto oltre alla semplice vendita. Dall’altra parte, il personal branding ha un approccio più individuale, ed è pensato per aiutare i professionisti (giovani o senior che siano) a costruirsi un’identità lavorativa più social, curando ogni aspetto della propria presenza online, dagli argomenti di cui parlare alla tipologia di contenuti da condividere.

I brand internazionali più riusciti in questo senso? Sicuramente nomi come «Nike e Lacoste, che hanno creato il mondo degli influencer e che riescono a raggiungere un pubblico giovane», spiega Rivalta, «ma anche aziende di automobili come Jaguar, Fiat e Peugeot, che si rivolgono ad un pubblico che usa lo smartphone per prendere decisioni, oppure i servizi per pagamenti online, dove la sfida è di trasmettere al pubblico sicurezza e insieme semplicità d’uso».

Gli argomenti piacciono, ma in Italia sono pochi quelli capaci di insegnarli. Eppure le discipline del social selling e del personal branding creeranno molto lavoro in futuro.

Danilo Rivalta, senior vice president di Tas Group e ceo di The Go To Market Company

E le aziende italiane? Di fatto, sul fronte delle competenze digitali l’Italia rimane indietro rispetto a molti altri Paesi, soprattutto per via di un gap formativo. «Sull’argomento del digital marketing qualcosa si sta muovendo, mentre su discipline più specifiche c’è ancora poca attenzione», dice l’esperto. «Gli argomenti piacciono, ma in Italia sono pochi quelli capaci di insegnarli. Eppure le discipline del social selling e del personal branding creeranno molto lavoro in futuro».

Per questo The Go To Market company si sta attivando anche per offrire istruzione specifica su queste materie, e presto partiranno piani semestrali di formazione, oltre a un evento specifico in programmazione a maggio 2019, che per la prima volta affronterà questi temi. La proposta ha un duplice scopo: non solo contribuire alla formazione di un maggior numero di professionisti sul mercato, ma anche formare un gruppo di esperti che sappiano trasmettere queste conoscenze ad altri, allargando a macchia d’olio il sapere digital.

Oggi, The Go To Market ospita 1200 senior sales professional e circa 56 aziende, per la maggior parte italiane, come Pharmap, che si dedica alla consegna di medicinali a domicilio, ma anche straniere. L’intento è quello di coinvolgere imprese di respiro il più possibile internazionale. «Metterli in contatto non è difficile, c’è predisposizione da parte degli startupper verso le competenze dei senior, espulsi dal mondo del lavoro classico per via della age discrimination», spiega Rivalta. «Il difficile è la cosiddetta “execution”, perché non si devono solo incontrare, ma devono esercitare l’obiettivo dell’azienda, cioè le vendite, facendo sì che da questo investimento ci possa essere un ritorno».

Questo mentoring all’ennesima potenza rappresenta uno degli aspetti più sfidanti per il futuro, all’interno di The Go To Market e non solo. L’azienda ha già impostato un algoritmo di matching a livello europeo per accoppiare i bisogni delle startup con le competenze dei senior e per provvedere a farli incontrare, sia virtualmente che fisicamente. Per tutti, poi, è prevista la formazione. Ma i programmi, assicura Rivalta, saranno aperti a tutti, dalle grandi aziende ai giovani interessati a specializzarsi. Perché pur tra le tante differenze e priorità individuali, oggi come in futuro (vale la pena di ripeterlo ancora una volta) vecchie e nuove generazioni non potranno fare a meno di incontrarsi, comunicare e impartirsi vicendevolmente nuove nozioni. Non ci si deve mai sentire arrivati, insomma. La regola d’oro? «In questo campo c’è poca teoria e tanta pratica», conclude Rivalta. «Per questo è bene informarsi, ma anche formarsi».

Di |2024-07-15T10:05:17+01:00Dicembre 24th, 2018|Formazione, futuro del lavoro, MF|0 Commenti
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