Le start up del made in Italy? Si sono messe a correre, ma come è difficile avere successo
I dati parlano chiaro: sono 723 i milioni di euro investiti in start up italiane o start up fondate da imprenditori italiani nel 2019. Una crescita del +38% rispetto al 2018 , quando si erano registrati 522 milioni di investimenti, un numero già di gran lunga superiore a quello dell’anno precedente che si era chiuso a 136 milioni. «Stiamo migliorando ma siamo ancora lontani dal raggiungere i risultati di altri Paesi», dice David Casalini, fondatore di StartupItalia, la più grande community italiana dedicata alle start up. «L’obiettivo ora è diventare sempre più attraenti e competitivi a livello internazionale». Un dato che spicca nel 2019 è la crescita ulteriore dell’ equity crowdfunding che in questi dodici mesi ha raccolto 55 milioni di euro, una crescita record se si pensa che nel 2018 il totale raccolto era di 30 milioni mentre nel 2017 si era fermato appena a 11,7 milioni di euro.
Ma chi sono gli startupper? Quanto vivono le loro imprese? Chi le finanzia? Quante sono? In Italia si inizia a parlare per la prima volta di start up solo otto anni fa e l’attenzione che si è data al tema è stata altalenante.
«Nel 2012 grazie all’allora ministro Corrado Passera è nato il registro dedicato alle start up con incentivi del 30% per chi decideva di investire, e poi il nulla», spiega Casalini, «ma in questi ultimi 12 mesi startup italiane sono entrate nell’agenda di governo. Il Ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli ha completato il lavoro iniziato da Luigi Di Maio per il Fondo Nazionale Innovazione guidato da Enrico Resmini: un nuovo fondo da 1 Miliardo – ma che potrebbe arrivare fino a 2 – dedicato a investimenti diretti nelle start up e nei fondi di Venture Capital italiani, con incentivi fiscali del 40% per chi investe in start up, che salgono fino al 50% se a farlo sono imprese.Inoltre c’è stato un boom nel crowdfunding, ovvero l’investimento diretto nelle start up, noi di StartupItalia in questo modo abbiamo raccolto 2.6 milioni di Euro da 2000 investitori».
In Italia sono registrate circa 10mila startup che danno lavoro a 60mila persone. «Ma fuori dal nostro Paese», continua Casalini, «la situazione è diversa: negli Stati Uniti, ad esempio, ormai si sono superati i 100 miliardi investiti ogni anno e tra le prime cinque aziende per capitalizzazione quattro sono ex start up.
[legacy-picture caption=”” image=”b89c6c2e-f2b2-4657-89f4-90638fee3f46″ align=””]La Cina e tutta l’Asia corrono da tempo allo stesso ritmo, mentre il nostro Paese è rimasto molto indietro, anche se negli ultimi 5 anni l’Italia è passata dal ventisettesimo al decimo posto per totale investimenti in Venture Capital, addirittura il nono se prendiamo i risultati dei primi 9 mesi del 2019 con quasi 600 milioni investiti, +90% rispetto allo stesso periodo del 2018. Eppure la verità è che UK, Germania, Francia da sole rappresentano ancora quasi il 70% degli investimenti».
Analizzando i dati raccolti dall’ Osservatorio Startup Hi-Tech del Politecnico di Milano si registra che il 78,5% del totale degli investimenti è stato raccolto da start up appartenenti al comparto digital; il 19,75% al Life Science e Biotech e l’1,75% % al Cleantech & Energy.
In Italia sono registrate circa 10mila startup che danno lavoro a 60mila persone
«Nell’ecosistema italiano inoltre», spiega Casalini, «emergono delle verticalità concentrate attorno ai settori tradizionali del “made in Italy” – rivisitati in chiave hi-tech e Digitale – come il Foodtech e il Winetech, il Fashion e il Tessile avanzato, per quanto riguarda sia i materiali intelligenti sia le tecnologie produttive all’avanguardia, e il Turismo digitale».
L’età media di chi apre una start up in Italia oggi è più alta rispetto agli altri paesi: «di solito gli imprenditori hanno tra i 35 e i 40 anni, hanno già fatto esperienza del mondo del lavoro e hanno una grandissima propensione al rischio. Questo perché la burocrazia è complessa e ancora più difficile è l’accesso ai fondi. I giovani di 25 anni che vogliono aprire una start up spesso vanno all’estero dove è più facile ottenere i fondi».
Di tutte le start up nate il 99% falliscono e solo l’1% ha successo: «che si raggiunge nell’arco di cinque anni. Ma per rimanere competitive, le start up», conclude Casalini, «deve pensare oltre ai confini nazionali. E pensare all’internazionalizzazione».