Gli effetti dei tassi di interesse delle banche centrali sul mondo del lavoro
Si parla molto degli effetti degli aumenti dei tassi di interesse sui mutui e sui prestiti, ma solo raramente si sente parlare del loro impatto sul mercato del lavoro. Ed è abbastanza sorprendente, poiché le conseguenze dell’aumento dei tassi di interesse sul mondo del lavoro influenzano la vita di moltissime persone.
Uno studio, condotto dall’economista italiana Ester Faia insieme ad altri colleghi, è stato presentato al Festival Internazionale dell’economia di Torino, mostrando come l’aumento dei tassi riduca la disuguaglianza salariale, ma colpisca contemporaneamente i lavoratori con redditi bassi in modo molto differente.
Partiamo dal principio. L’aumento dei tassi ha come obiettivo il contrasto dell’inflazione e il raffreddamento dell’attività economica. Le banche centrali decidono di intervenire perché l’economia procede a un ritmo così elevato che può essere dannoso. Tra gli elementi che crescono troppo velocemente, c’è l’inflazione, ovvero l’aumento generali del livello dei prezzi. L’obiettivo della Banca Centrale Europea è mantenerla intorno al 2%. Tra ottobre 2022 e gennaio 2023, l’inflazione in Italia è stata superiore al 10% rispetto al periodo corrispettivo dell’anno precedente. Essa va quindi rallentata perché riduce il potere di acquisto delle persone, che con la stessa quantità di denaro si trovano a poter acquistare minori quantità di beni.
Tra gli strumenti a disposizione delle banche centrali per raffreddare l’economia, c’è l’aumento dei tassi di interesse. Rendendo il denaro più costoso, si ha una diminuzione dei consumi tra la popolazione e degli investimenti tra le imprese. Questa scelta, per le banche centrali, è la più comune, dato che ha effetti diffusi e molto immediati. Tuttavia, è una modalità di intervento che non riesce a tenere conto delle diverse necessità degli individui.
La metafora dell’auto
Per le banche centrali alzare i tassi di interesse equivale a tirare il freno a mano di un’auto in movimento: è un’azione pericolosa che, se fatta in modo attento, preciso e tramite una comunicazione adeguata, darà alle auto che seguono il tempo di reagire e rallentare per evitare incidenti. Se invece il freno a mano è usato in modo inatteso, violento o senza la corretta comunicazione, c’è il rischio di creare rallentamenti, se non addirittura incidenti, che nella vita reale equivalgono alla crisi economica.
Tra le prime auto a risentire della frenata della banca centrale, ci sono quelle dei consumi e degli investimenti. Tra quelle che invece fanno più fatica a frenare c’è l’auto che rappresenta il mercato del lavoro. Questo perché l’attività economica si riduce a causa di minori consumi e investimenti, e le imprese si trovano costrette a bloccare le nuove assunzioni o – nei casi peggiori – a rinunciare a lavoratori che oramai sono diventati superflui.
Proseguendo con la nostra metafora, i passeggeri dell’auto del mercato del lavoro sono molti e diversi: ci sono lavoratori esperti e giovani, uomini e donne, persone altamente specializzate e meno qualificate, individui che appartengono a minoranze oppure no.
Le conseguenze sul lavoro
L’economista italiana Ester Faia si è chiesta: come vengono colpiti questi diversi passeggeri-lavoratori dall’aumento dei tassi?
Quello che emerge, studiando il mercato del lavoro americano, è che l’effetto della politica monetaria è quasi nullo sulle fasce più ricche, e fortissimo sulle persone più povere. E queste conseguenze si manifestano proprio attraverso il mercato del lavoro: se siamo in una fase di politica monetaria espansiva, con una riduzione dei tassi, c’è un effetto positivo sulla popolazione meno abbiente; se la politica è restrittiva, invece, si verifica un effetto negativo sui redditi più bassi.
In una situazione di aumento dei tassi di interesse, le fasce più ricche continuano tendenzialmente a restare nel mercato del lavoro. I lavoratori scarsamente qualificati e con salari bassi hanno, al contrario, più probabilità di perdere il loro impiego.
La tesi di fondo, quindi, è che i più colpiti sono i “passeggeri-lavoratori” con basso reddito. Inoltre, all’interno di questo stesso sottogruppo di passeggeri-lavoratori a basso reddito, l’aumento dei tassi di interessi aumenta la disuguaglianza.
Come? Il raffreddamento dell’economia causato dall’aumento dei tassi spinge le imprese a licenziare. I licenziamenti colpiscono soprattutto i lavoratori e le lavoratrici a basso reddito, che escono dal mercato. Allo stesso tempo, però, tra quelli a basso reddito che hanno mantenuto il lavoro, la competizione aumenta perché sono numericamente di meno e si creano le condizioni perché possano chiedere – e spesso ottenere – un aumento di salario.
La professoressa Faia lo definisce l’effetto di selezione: «Dato che molte delle persone a basso reddito escono dal mercato del lavoro e non vi rientrano, quelli che rimangono impiegati sono i migliori e la loro scarsità fa aumentare i salari, dunque la disuguaglianza scende» tra gli occupati.
Quindi, il gruppo dei “passeggeri-lavoratori” a basso reddito viene diviso in due parti: chi resta dentro non solo mantiene il proprio reddito, ma potrebbe anche veder crescere il proprio salario perché la competizione è aumentata. Chi invece è dovuto scendere – cioè è stato licenziato o non ha ottenuto un rinnovo del contratto a tempo determinato – resta senza una fonte di reddito. Inoltre, studiando gli effetti delle crisi precedenti, emerge che il gruppo delle persone a basso reddito che resta escluso è formato con alta probabilità da donne e stranieri.
L’effetto di selezione è perverso, dato che implicitamente produce vinti e sconfitti, dopo l’aumento dei tassi di interesse.
Resta fondamentale però riuscire a sostenere gli esclusi. Ed è urgente intervenire il prima possibile. Chi perde il lavoro vive infatti un malessere sociale e psicologico, in quanto il lavoro contribuisce spesso a determinare l’identità di una persona, come diversi studi hanno più volte dimostrato. Inoltre, questi soggetti subiscono in modo più o meno involontario uno stigma sociale. Infine, questa è una corsa contro il tempo, perché è noto che più un individuo resta fuori dal mercato – non per scelta personale – più calano le probabilità di un suo rapido ritorno nel mondo del lavoro.