Teatro: la casa dell’intercultura
«Il teatro permette di andare oltre alle etichette, di diventare semplicemente persone che lavorano assieme per realizzare qualcosa. Anche per il pubblico, quando guarda gli spettacoli, gli stereotipi cadono: non interessa più chi è e da dove viene colui o colei che è sul palco».
A parlare è Danilo Cremonte, attore e regista dell’associazione culturale “Smascherati!” di Perugia, organizzatrice del laboratorio teatrale interculturale Human Beings, attivo da 28 anni. «Abbiamo fatto la scelta di lavorare sull’incontro tra persone di culture diverse nel 1994, per due motivi principali», racconta Cremonte. «Il primo è che era il tempo degli arrivi dall’Albania, quando l’Italia iniziava per la prima volta a diventare anche Paese di immigrazione, oltre che di emigrazione. Poi, vivendo a Perugia, dove aveva sede la più antica università per stranieri del nostro Paese, mi rendevo conto di quanto l’interculturalità potesse essere arricchente per un percorso laboratoriale, perché portava punti di vista diversi e nuove prospettive». Fin da subito è stato evidente che il mescolarsi di persone di vario tipo, in fuga da guerre, studenti all’estero e cittadini italiani era un grandissimo valore aggiunto, non solo per la diversità di culture, ma anche per la diversità di esperienze. Da questo percorso principale, negli anni, sono gemmate tante nuove iniziative, come il Teatro rifugio, rivolto, appunto, in maniera prioritaria a rifugiati e richiedenti asilo, che corre parallelo a Human Beings per poi fondersi a esso nell’ultima parte, poco prima dello spettacolo. «Nel percorso ci sono sempre persone di diversa provenienza, anche del territorio», commenta il regista, «perché è importante mantenere l’aspetto di dialogo e di confronto tra persone con background, culture e sensibilità differenti».
È proprio con i richiedenti asilo che, nel corso del laboratorio, si vedono i cambiamenti più importanti, anche a detta degli insegnanti di italiano e degli operatori che li seguono nei centri da cui provengono. «C’è un’accelerazione nell’apprendimento della lingua e, anche, una maggiore capacità di inserirsi nel contesto sociale perugino», continua Cremonte.
«Si creano sempre delle bellissime relazioni umane, che vanno anche oltre il contesto del teatro e che sono un’enorme ricchezza. Non è un’affermazione retorica, è qualcosa di reale, che avviene nello scambio tra persone che provengono da diverse culture». A rendere possibile questo processo, un modo particolare di intendere la recitazione, che può avere tante forme diverse. «Per i nostri spettacoli, non abbiamo una riga già scritta in partenza», afferma il regista. «Nessuno, neanche chi non sa nemmeno una parola di italiano, si sente escluso. Ovviamente, poi, c’è chi traduce – anzi, a volte si creano catene di traduzioni, in molte lingue – ma di base si improvvisa, ognuno viene incoraggiato a utilizzare la sua lingua, anche il dialetto se si tratta di un italiano. Queste improvvisazioni poi vengono montate, tagliate e cucite per la realizzazione dello spettacolo finale». La rappresentazione che conclude il laboratorio, che solitamente va da novembre a giugno, si tiene in un chiostro medievale, all’esterno dello spazio in cui l’associazione lavora ormai da 23 anni.
Ad assistere ai «giochi scenici di varia umanità» di Human Beings, come li definisce il regista, c’è solitamente molta partecipazione, sia di amici di vecchia data sia di nuovi arrivi; anche tra il pubblico, c’è una grande varietà di esperienze, provenienze e culture diverse, perché ciascun attore invita le proprie conoscenze. «Per come lo intendiamo noi il teatro è basato molto sui corpi, sulle esperienze, le fantasie e i desideri», spiega Cremonte.
«Penso che questo possa favorire molto il dialogo interculturale, perché tutto quello che viene rappresentato viene dai partecipanti, non c’è il rischio della recitazione sul copione, che falsa le emozioni e toglie vita alla presenza in scena e al rapporto con gli spettatori». A fare la gran parte del lavoro, nella creazione dell’affiatamento del gruppo, è la fase iniziale delle lezioni – prima due e poi tre a settimana, tutte gratuite, con l’unica richiesta della continuità nella partecipazione –, il riscaldamento. È qui, infatti, che i corpi si mettono in gioco; già attraverso la fisicità si possono riconoscere molte caratteristiche delle persone e si può lavorare per liberarsi dalle corazze che ognuno di noi si porta appresso. «Il lavoro fisico permette di scoprire che, in realtà, pur nelle nostre differenze, siamo tutti uguali», chiosa il regista. Tutti gli esercizi si inseriscono all’interno di un percorso teatrale, ma in questo caso assumono un significato ulteriore, di scoperta e dialogo. «È importante ricordare che non è il teatro che si mette a servizio di qualcosa, come l’inclusione», conclude Cremonte, «ma è il teatro che ritrova sé stesso, il suo senso ultimo di formare comunità, per prima cosa tra chi lo fa, ma anche tra chi poi lo va a vedere».