Fumagalli, KPMG: “La trasformazione digitale? Non bastano gli investimenti in tecnologia”
«L' intelligenza artificiale non è destinata a sostituirci, ma a migliorarci. Sono necessari nuovi modelli organizzativi, nuove competenze, nuovi indicatori di competitività per valorizzare il capitale più importante, quello umano», parole e musica di Domenico Fumagalli, senior partner di Kpmg introducendo il sondaggio “L’innovazione in azienda tra paure ed aspettative”.
[legacy-picture caption=”Domenico Fumagalli, senior partner di Kpmg” image=”893ffe25-7d2f-4c3e-91e9-9f726c4ec464″ align=”right”]Realizzata da Kpmg e Ipsos, la ricerca è stata presentata in occasione dell’evento milanese “The Frame: Human Innovation” a novembre 2019, durante il quale si è discusso del tema degli impatti della tecnologia lavoro, dell’evoluzione dei modelli di leadership, dell’organizzazione aziendale e dei possibili mutamenti del mercato.
«In questo periodo di disruption pervasiva», ha continuato il manager, «le imprese italiane stanno rispondendo al cambiamento investendo più in tecnologia che in capitale umano. Oggi pochi leader guidano personalmente la trasformazione digitale in azienda, delegando figure tecniche cui spesso manca una visione d’insieme».
[legacy-picture caption=”” image=”15658da5-688c-4a23-985e-bc5bfd548355″ align=””]L’indagine è stata realizzata nel mese di settembre 2019 ed ha coinvolto circa 250 tra esponenti del mondo della ricerca e sociologi, economisti, top manager di grandi aziende, esperti del mondo del lavoro e opinion leader.
Dalla ricerca emerge che la trasformazione digitale è percepita come un processo in chiaroscuro, «che pone manager ed imprenditori dinanzi a temi complessi di difficile risoluzione», sottolinea Fumagalli.
Investimenti in tecnologia, le figure tecniche guidano il cambiamento
Guardando ai dati infatti si scopre che la maggioranza delle aziende italiane sta affrontando i processi di trasformazione digitale quasi esclusivamente con investimenti in tecnologia (57%), più che nella formazione della forza lavoro (43%) o nella revisione dei modelli organizzativi.
Questi processi sono gestiti prevalentemente da figure tecniche, da manager responsabili dei sistemi informativi (38%) o responsabili della finanza (21%). Queste figure rischiano tuttavia di avere una visione troppo verticale e parziale, soprattutto dei possibili impatti in termini sociali di certe dinamiche.
Solo in pochi casi i vertici delle aziende come amministratori delegati (18%), presidenti (9%) e imprenditori (3%) sono impegnati in prima persona in questi progetti di cambiamento.
[legacy-picture caption=”” image=”4cdc9b6e-b8e0-43ce-a2a4-9ded3290e63b” align=””]Inoltre le imprese, sebbene siano consapevoli della necessità di farsi carico degli inevitabili impatti sociali (43%) conseguenti alla trasformazione digitale, chiedono anche l’intervento dello Stato (41%) e l’attivazione degli incentivi fiscali (66%) per contenere l’inevitabile trade-off tra la tutela dei lavoratori ed il raggiungimento dei profitti.
«Questo approccio è un segno evidente che oggi il digitale viene visto ancora in una chiave prevalentemente tecnologica, efficientista e limitativa, mentre manca la consapevolezza di una visione d’insieme di certi fenomeni», chiarisce il senior manager.
Italia in ritardo sulla digitalizzazione
Nel complesso, in tema digital si osserva un certo ritardo tra le aziende italiane. In molti casi, le imprese del nostro Paese sono ai primi passi sui temi della digitalizzazione e spesso rincorrono modelli importati dall’estero: solo il 48% infatti ha una chiara strategia da mettere in atto.
[legacy-picture caption=”” image=”c4fd07d7-7309-48e1-9640-57d1a0b64b07″ align=””]«Le ragioni del ritardo sono diverse», argomenta Fumagalli, «dalla carenza di politiche industriali sull’innovazione, alla scarsa sinergia tra imprese, fino alla mai compiuta integrazione tra mondo imprenditoriale e ricerca. C’è soprattutto una difficoltà di visione nel prefigurare tutte le opportunità della trasformazione digitale e nell’implementazione di nuovi modelli di business».
Il capitale umano nell’era della digital transformation
«La questione del capitale umano in azienda è diventato un tema impellente che le imprese non possono più rimandare», spiega il manager di Kpmg.
Il 45% delle aziende intervistate stima di dover riqualificare una quota superiore al 30% del personale. Queste stesse aziende prevedono anche una forte riduzione di risorse tra le categorie di impiegati e operai semplici.
[legacy-picture caption=”” image=”25158dd8-2600-4401-83e1-02a49faf7fd6″ align=””]Il ricorso al taglio del personale come conseguenza dei processi di digitalizzazione divide i manager (50%), sebbene la maggior parte riconosca la necessità di sostituire le figure presenti in azienda con altre più giovani e preparate (60% delle aziende).
«In sintesi, la portata delle sfide della digitalizzazione è più ampia», aggiunge Fumagalli, «non si tratta di gestire le risorse umane soltanto dal punto di vista delle competenze tecniche necessarie: occorre un più profondo e radicale cambio nel modus operandi, ossia del modello organizzativo (29%), la cui revisione si accompagna alla necessità di trovare un giusto equilibrio tra capitale umano e tecnologico (31%)».
Emerge, inoltre, una chiara consapevolezza della necessità di coinvolgere i dipendenti nel processo di trasformazione digitale in modo da scongiurarne la percezione di minaccia (98% delle aziende). La trasformazione digitale implica necessari investimenti in formazione anche a costo di dover rinunciare a parte della redditività: questa visione accomuna il 77% delle aziende.