Didattica mista e aiuti (anche per ricercatori): così ripartono le università dopo il lockdown
A distanza di sei mesi dalla chiusura per via del lockdown, insieme alle scuole anche le università sono tornate ad aprire i battenti. A differenza degli altri cicli di istruzione, gli atenei erano più preparati a proseguire la didattica quando la chiusura forzata si è presentata, e la maggior parte delle università ha attivato nel giro di pochi giorni o settimane corsi ed esami da remoto. Secondo l’ultimo rapporto Almalaurea, il 74,5% degli studenti ha seguito le lezioni, il 40% ha dato regolarmente esami e soltanto il 2% delle lezioni è stato sospeso o annullato.
Come per la scuola, ora le università riaprono, con precise regole di distanziamento e igiene. Impossibile, almeno per il momento, riportare tutti in aula: per questo la capienza è stata ridotta per decreto ministeriale al 50%, e priorità è stata data alle nuove matricole per le lezioni in presenza. Per tutti gli altri, si prevede un sistema misto di didattica online e in presenza, con nuove app per smartphone introdotte per prenotare i posti a sedere a rotazione. In alcuni atenei, come l’Università degli Studi di Milano, è stata prevista anche la possibilità di ritirare in ateneo il kit per effettuare, su base volontaria, il test rapido pungidito e prendere parte a studi di sorveglianza sierologica.
La necessità di limitare il contagio si riflette non soltanto sulle misure da adottare all’interno degli atenei, ma anche sui numeri degli studenti. All’alba del nuovo anno accademico, il grattacapo più preoccupante per il ministero dell’Università guidato da Gaetano Manfredi è infatti il rischio di crollo delle immatricolazioni che, secondo alcune previsioni, potrebbero scendere potenzialmente fino al 20%. Data la crisi innescata dal coronavirus e il grado di incertezza verso il futuro, molte famiglie in difficoltà economica potrebbero non avere il denaro necessario per mandare un figlio all’università.
In realtà – stando ai dati preliminari raccolti nelle università di Bologna, Parma, Cosenza, Catania e Palermo – la situazione sembrerebbe incoraggiante. Soprattutto al Sud: lo stesso ministro Manfredi ha spiegato che negli atenei del Mezzogiorno le matricole sono «aumentate del 5-10%», numeri probabilmente destinati a salire. Una novità inedita, posta la tradizionale migrazione dei giovani dal Sud verso il Nord: dati i rischi legati all’epidemia, coloro che prima cambiavano regione per studiare ora tentano di rimanere in quella di appartenenza, rimpinguando i numeri degli atenei meridionali.
Per sfruttare le risorse del Recovery Fund il ministro Manfredi ha annunciato un piano da 15 miliardi per l’università e la ricerca.
Anche i corsi sono cambiati: fra ingegneria, biotecnologie e medicina, l’offerta formativa è stata rafforzata con 200 nuovi corsi di laurea concentrati su tre aree: tecnica, scientifica e sanitaria. In totale i corsi di laurea triennale sono saliti a 2.329, quelli magistrali a 2.281 e quelli a ciclo unico a 325, stando ai dati forniti dagli atenei.
Un notevole lavoro è stato fatto per contrastare il crollo delle matricole e garantire il diritto allo studio. In particolare, stanziamenti ad hoc sono stati allocati per consolidare l’offerta di aiuti agli studenti e allargare l’accesso agli atenei. Con il “decreto rilancio” di maggio il governo ha stanziato 290 milioni per l’università, volti anche a estendere borse di studio e sconti sulle tasse universitarie (la cosiddetta “no tax area” è stata aumentata da 13 a 20mila euro). Sessantadue milioni (più altri 50 stanziati con il decreto Cura Italia) sono stati messi in campo per garantire l’accesso alla didattica a distanza (anche in termini di acquisto di device), mentre ben 165 milioni sono stati allocati per il diritto allo studio.
Sono state previste risorse anche per i ricercatori: a partire dal 2021 ne saranno assunti oltre 3mila in più rispetto ai 1607 previsti, sfiorando quota 5mila. A questi fondi si aggiungeranno 550 milioni da qui al 2022 per il Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (First) e 300 milioni nello stesso periodo per il Fondo per il finanziamento ordinario delle università.
Non solo: per sfruttare le risorse del Recovery Fund, il ministro Manfredi ha annunciato un piano da 15 miliardi per l’università e la ricerca. Un programma ambizioso e necessario, in un contesto in cui la formazione accademica e la ricerca si sono rivelati settori fondamentali su cui investire per la costruzione del futuro del Paese. Insieme alla scuola, anche l’università ha sulle spalle anni di disinvestimenti che l’hanno portata ad essere fanalino di coda in Europa sia per numero di laureati (27,6% dei giovani fra i 30 e i 34 anni, a fronte di un 40,3% della media Ue) sia per posti da ricercatore. Anche in termini di numero di docenti universitari l’Italia soffre, registrando quasi il 15% di docenti in meno fra il 2008 e il 2017, secondo l’ultimo rapporto Anvur.
Ogni giovane che decide di interrompere il proprio percorso formativo e non iscriversi all’università rappresenta un fallimento per il Paese.
È per tutti questi motivi che le istituzioni universitarie, a partire da Almalaurea, hanno lanciato l’allarme e sottolineato la necessità di rendere l’università perno della crescita. Altrimenti gli storici gap (che vedono le donne e le regioni meridionali tradizionalmente penalizzati) rischiano di aggravarsi ulteriormente, accentuando le disparità.
Si tratta di problemi di lungo respiro, ma anche molto concreti e attuali, e con ricadute collaterali importanti. Secondo una ricerca del portale Skuola.net – che ha coinvolto circa 2.000 studenti che durante lo scorso anno accademico erano fuori sede – ad, esempio, quasi 1 fuorisede su 5 abbandonerà la città che l’ha ospitato sinora per fare ritorno nel luogo di residenza. Risultato: alla fine dell’estate le città universitarie si erano svuotate di giovani, con città come Milano dove si è arrivati a registrare il 290% in più di disponibilità di immobili in affitto, pur con prezzi sostanzialmente rimasti gli stessi. Un problema che Giuseppe Sala, così come altri sindaci, si sta ponendo: «Non bisogna avere nostalgia del passato. Milano ripartirà da giovani, stranieri e solidarietà. Proviamo a chiarire quali sono i segmenti della popolazione su cui basarsi per il cambiamento» , ha detto.
Il ministro Manfredi ha promesso che sulla suddivisione delle risorse del Recovery Fund, «il diritto allo studio avrà un ruolo importante». Bisognerà avere lungimiranza. «Andrebbe realizzato un massiccio piano di investimenti che garantisca il diritto allo studio dei giovani. Dobbiamo reagire alla prospettiva del fallimento. Ogni giovane che decide di interrompere il proprio percorso formativo e non iscriversi all’università rappresenta un fallimento per il Paese», ha dichiarato in proposito Ivano Dionigi, presidente di AlmaLaurea. Oltre che di diritto allo studio, si potrebbe parlare allora di diritto al futuro.