Elizabeth Warren, così lo sceriffo di Wall Street vuole riformare il capitalismo Usa
La chiamano “lo sceriffo di Wall Street”, perché è la prima che, da anni e senza tanti giri di parole, punta il dito contro le corporate americane, ascrivendo al capitalismo (per com’è oggi) la maggior parte delle ragioni per le quali gli Stati Uniti stanno andando a rotoli. Elizabeth Warren, 69 anni, senatrice del Massachusetts e docente di legge ad Harvard specializzata in diritto fallimentare, ha annunciato la sua candidatura alle primarie dei Democratici in vista delle elezioni Usa 2020. Con un piano: ricostruire la classe media statunitense, e ricostruirla per tutti.
La senatrice è infatti una pioniera dei diritti civili e delle minoranze, la quale del contrasto allo strapotere del sistema finanziario americano ha fatto il suo cavallo di battaglia fin da quando è entrata in Senato, nel 2013. Già durante la crisi di Wall Street si era distinta per la sua azione in difesa dei piccoli risparmiatori, venendo poi arruolata nell’amministrazione Obama come fondatrice e direttrice dell'agenzia Usa per la tutela dei consumatori. In occasione delle elezioni americane 2016 si vociferava anche che potesse candidarsi in prima persona, o perlomeno fare da vice a Hillary Clinton. Nessuna delle due cose è accaduta, ma nel frattempo la Warren ha coltivato il suo terreno. E proprio a fine 2018 è uscita allo scoperto, svelando le sue linee programmatiche per la presidenza.
La tesi di Warren è che le aziende non stiano più lavorando per il benessere dei propri dipendenti, ma per massimizzare i profitti: ben il 93% dei ricavi finisce nelle tasche degli azionisti, invece che essere destinato ad aumenti dei salari o a investimenti di lungo periodo
«Il nostro governo dovrebbe lavorare a beneficio di tutti, ma invece è diventato uno strumento per chi è benestante», dice la senatrice. La tesi di Warren è che le aziende non stiano più lavorando per il benessere dei propri dipendenti, ma per massimizzare i profitti: ben il 93% dei ricavi finisce nelle tasche degli azionisti, invece che essere destinato ad aumenti dei salari o a investimenti di lungo periodo. Il risultato? Gli investitori continuano ad arricchirsi, la società non trae alcun beneficio dalla crescita economica e le disuguaglianze si aggravano.
È questo il motivo per cui la senatrice ha ideato un progetto di legge chiamato Accountable Capitalism Act: una norma che punta a rendere le aziende di grosso calibro (quelle da 1 miliardo di fatturato o più) responsabili non solo di fronte ai propri azionisti, ma anche davanti ai cittadini. A partire dalla scelta dell’executive board delle aziende, i cui membri, secondo la Warren, dovrebbero essere scelti dagli stessi impiegati dell’azienda. Le aziende, poi, dovrebbero essere obbligate ad aspettare un tempo più lungo prima di vendere le proprie azioni, evitando di adottare una strategia di crescita lampo per abbracciare invece una logica lungimirante, che favorisca l’occupazione e un’economia più stabile. In più, le aziende dovrebbero ricevere il via libera del 75% dei propri azionisti per poter fare donazioni a questo o quel partito o candidato politico. «I miliardari e le grandi corporazioni hanno deciso che volevano di più. E hanno arruolato i politici per avere una fetta di torta più grande», dice Warren. Per questo il sistema va cambiato.
In occasione del lancio della sua candidatura alle primarie, la senatrice ha dato il via ad un comitato esplorativo. Qualcuno però dice che il seguito della Warren non sia abbastanza ampio da consentirle di vincere. Non tutti i democratici infatti la sostengono a spada tratta: piace all’ala più a sinistra del partito, nonostante le sue idee si discostino dal taglio socialista di Bernie Sanders, ma più che altro è vista come una candidata divisiva. E anche tra il pubblico non è piaciuta la mossa del test del Dna per provare le sue origini cherokee in risposta ad una provocazione di Donald Trump, che l’ha ribattezzata “Pocahontas”.
La senatrice ha ideato un progetto di legge chiamato Accountable Capitalism Act: una norma che punta a rendere le aziende di grosso calibro (quelle da 1 miliardo di fatturato o più) responsabili non solo di fronte ai propri azionisti, ma anche davanti ai cittadini
Naturalmente, quello di Warren non è il solo nome che circola tra i candidati democratici. Al momento sembra che i potenziali candidati alle elezioni possano essere almeno una dozzina: tra questi, oltre a Bernie Sanders, si parla di Joe Biden, l’ex vice di Obama, il governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo e il texano Beto O’Rourke. Mentre fra le donne, qualcuno vocifera, potrebbe esserci persino Michelle Obama.
Insomma, la partita è aperta. La Warren può sicuramente offrire grande competenza, e anche la sua capacità di dialogare con le minoranze rappresenta uno dei suoi maggiori punti di forza (soprattutto visto il desiderio di cambiamento che alle elezioni di mid-term ha portato al Congresso una serie di personalità giovani e di rottura come Alexandra Ocasio Cortez). Secondo alcuni analisti, però, questa forma di identity politics potrebbe anche giocare a suo sfavore. A un anno e dieci mesi dalla data delle elezioni, è ancora presto per fare qualsiasi pronostico. Una cosa, però, rimane certa: la candidatura della Warren ha già segnato la partenza della corsa alle elezioni. E, considerando lo sfidante principale, qualcosa ci dice che sarà una delle votazioni più interessanti di sempre.