Virtual influencer: la nuova frontiera dell’influencer marketing
Nel 1932 lo scultore e designer americano Lester Gaba crea, per la celebre catena di grandi magazzini Saks Fifth Avenue di New York, “Cynthia”, un manichino di gesso di 45 kg, capelli biondi, lentiggini e piedi di dimensioni diverse.
Gaba porta Cynthia ovunque vada, ristoranti, club notturni, taxi; le dà una carta di credito e un abbonamento al palco del Metropolitan Opera House. In poco tempo diventa una star, tanto da apparire sulla copertina di Life, fotografata da Alfred Eisenstaedt, Cartier e Tiffany le inviano gioielli affinché li indossi, Lilly Daché disegna cappelli su misura per lei, Hollywood la corteggia tanto da inserirla nel cast di “Artists and Models Abroad” e nel 1937 viene persino invitata al matrimonio reale tra Edoardo VIII e Wallis Simpson. I fan le scrivono lettere piene di ammirazione, le donne chiedono consigli sui capelli, sul colore del rossetto, gli uomini inviano proposte di matrimonio. Ha una rubrica e uno show radiofonico di successo.
Poi nel 1939, improvvisamente, la morte o meglio la sua fine: Cynthia scivola da una sedia e va letteralmente in frantumi. I giornali ne parleranno per giorni. Gaba prova a ricostruirla, ma senza successo, Cynthia, il manichino imperfetto, è insostituibile. Negli anni, Gaba diventerà un importante accademico e uno dei maggiori esperti al mondo di visual merchandising, da molti considerato un vero e proprio pioniere della performance art.
L’incredibile storia vera di Cynthia e del suo creatore sembra anticipare di quasi un secolo la nuova frontiera dell’influencer marketing: l’uso sempre più diffuso dei cosiddetti virtual influencer. Parliamo di avatar, immagini in 3D, creati grazie alla CGI (grafica computerizzata) con caratteristiche fisionomiche e comportamentali umane. Dei moderni Cynthia animati dai sistemi di intelligenza artificiale che parlano e si muovono come persone in carne e ossa e che, a differenza del manichino di Gaba, non si rompono se cadano da uno sgabello.
Da qualche anno, in Italia e nel mondo, sempre più brand di moda e del lusso, ma anche istituzioni, come l’OMS, ricorrono ai Virtual Influencer per promuovere i propri prodotti o per veicolare messaggi sociali, con benefici enormi per le aziende che se ne servono. Secondo la ricerca Virtual influencers in Online Social Media, un singolo post di un influencer virtuale può costare fino a 10 mila dollari. Un vero e proprio business fiorente e globale che, secondo le stime di Bloomberg Intelligence, potrebbe arrivare a valere 800 miliardi di dollari entro il 2024.
Rispetto a un influencer in carne e ossa, la sua controparte digitale garantisce ai brand una comunicazione più controllabile, lo spiega chiaramente Takayuki Moriya, Amministratore Delegato di Aww, agenzia giapponese impegnata nella creazione di Vhuman (virtual human) e influencer digitali: “È come trovarsi a disposizione un apostolo che dialoga con i suoi follower sui temi per te rilevanti.”
Non solo, a spingere le aziende a prediligere queste figure, come spiega Antonio Perfido, autore di “Conversation Designer”, in un’intervista su Il Sole24 Ore, è “la costante disponibilità all’interazione e la contemporanea presenza in più luoghi, a costi sensibilmente inferiori.”
Seppure ancora agli inizi, questo fenomeno sembra destinato a rivoluzionare interi settori, facendo nascere anche nuove figure professionali. Ma quali sono le competenze necessarie per poter intraprendere questa attività? Esistono percorsi formativi dedicati? Come farsi strada in questo settore?
Pur viaggiando in parallelo rispetto all’influencer marketing tradizionale, quello virtuale necessita di competenze totalmente differenti.
Chiara Dal Ben, Marketing & Innovation Director di FLU
PHYD ne ha parlato nel talk “La nuova frontiera dell’influencer marketing” con Chiara Dal Ben, Marketing & Innovation Director di FLU, agenzia verticale di Influencer Marketing del gruppo Uniting, Filippo Boschero, creatore di Nefele, la prima virtual human Made in Italy, e con i Virtual YouTuber, Yuniiho e Hiroshi.
Il futuro dell’influencer marketing
L’interesse delle aziende per l’influencer marketing continua a essere alto, come dimostrano i dati di un recente studio Upa secondo cui la quota degli investimenti nel settore si aggira intorno ai 300 milioni di euro con un incremento dell’8% rispetto al 2021.
Numeri che sembrano destinati a crescere in risposta al successo dei virtual influencer siano Virtual Human o VTuber. Oggi, nel mondo, esistono 150 virtual influencer, secondo il sito di riferimento Virtual Humans, con un giro di affari che si aggira intorno ai 500 milioni di dollari.
Naturalmente, come spiega Chiara Dal Ben, questo apre la strada a nuove opportunità professionali e, dunque, a nuove competenze, alcune anche molto complesse:
«Ci sono diverse tipologie di digital influencer: ci sono quelli realizzati dai brand, che richiedono la presenza in aziende di persone capaci di guardare al futuro; ci sono quelli usati solo a livello fotografico e poi ci sono i VTuber. Per ciascuna tipologia sono necessarie skill diverse, abilità nel designer, nell’animazione, nel video editing (per citarne alcune). Pur viaggiando in parallelo rispetto all’influencer marketing tradizionale, quello virtuale necessita di competenze totalmente differenti.»
In futuro, la collaborazione tra queste due anime dell’influencer marketing sarà sempre più stretta, contribuendo ad attirare l’attenzione delle generazioni più giovani, come gli Zers, per cui non c’è alcuna differenza tra mondo reale e virtuale, entrambi considerati luoghi di espressione del sé e della socialità.
VTuber, lo streamer che non ti aspetti
Il Virtual YouTuber è un trend che deriva dalla sottocultura giapponese Otaku – una manifestazione culturale nata negli anni Ottanta e fortemente legata all’immaginario prodotto da Manga e Anime – il titolo indica una persona che realizza video su Youtube, Twitter, Twitch, Instagram o Facebook usando un avatar. Solo in Giappone esistono più di 10 mila YouTuber virtuali.
«Noi siamo intrattenitori. Essere VTuber è solo un modo di streamare diverso dal tradizionale. Di solito intrattiene il suo pubblico tramite videogiochi o attività con la chat. Io, ad esempio, intrattengo con il disegno. Per comunicare, invece della videocamera, usiamo un avatar, puoi scegliere di essere qualunque cosa tu voglia, anche un cane o un alieno. Questa è la nostra peculiarità.»
Così Yuniiho, dalle sembianze di un bellissimo personaggio in stile Anime dai capelli rosa, spiega chi è e cosa fa uno VTuber. Nel suo curriculum ci sono competenze varie, tra tutte l’arte digitale e il Live2D Model Art, ed è versatile sia nelle illustrazioni digitali che nel completo sviluppo di un character design. Il suo lavoro consiste appunto nel vendere modelli avatar ad altri steamer intenzionati a investire in questa forma di marketing, per farlo al meglio si serve di altri professionisti, come animatori e grafici in grado di curare l’overlay dello streaming.
I campi di interesse di uno VTuber sono molteplici, dalla promozione di prodotti o servizi all’essere brand Ambassador per marchi e istituzioni, fino alla divulgazione scientifica, come nel caso di Hiroshi, molto apprezzato in Cina per il suo approccio leggero, ma puntuale, ad argomenti complessi come la fisica o la meccanica quantistica. Digital painter e artista grafico, il suo obiettivo è quello di diffondere la scienza in modo divertente e comprensibile con il supporto dello storytelling e delle nuove tecnologie. Come si legge sul suo sito, «Voglio fare in modo che studenti di tutto il mondo imparino ad amare la fisica, come se fosse una serie tv o un manga avvincente da leggere.»
Per diventare uno Science VTuber come Hiro occorre «molta formazione sul campo, considerando anche che siamo agli esordi di questo fenomeno e si può imparare molto dagli influencer tradizionali che questo lavoro lo hanno costruito negli ultimi 10 anni. Poi, bisogna fare esperienza anche in settori molto lontani dallo streaming, che però possono insegnarti come comunicare in modo efficace e monetizzare.»
Vhuman, influencer 3.0
In Italia, la prima virtual influencer realizzata con tecnologia CGI (Computer Generated Imagery) porta il nome di una ninfa delle nubi, Nefele. È un personaggio dichiaratamente fittizio, volutamente imperfetto e gender fluid con il volto ricoperto di lentiggini e i capelli cortissimi. Abita i social, con incursioni sempre più frequenti nel Metaverso, e ha un messaggio molto chiaro da diffondere dentro e fuori dalla sua community:
«Ciao sono Nefele. Nei miei social condivido topic sulla diversità, inclusione, bellezza delle imperfezioni quali punti di forza e unicità. Voglio farvi riflettere sul seguente punto: se oggi chiedete a un bambino cosa vuole fare da grande vi risponderà lo YouTuber o la Content Creator. Ecco perché nel futuro gli user generated content prodotti da creatori 3.0 saranno la fonte primaria di informazione per le nuove generazioni alla ricerca di schiettezza, immediatezza ed effetto wow.»
Nefele cerca di essere la voce di chi non riesce a esprimere ciò che è o vuole essere e per questo si sente recluso in un mondo che non vede come proprio.
Filippo Boschero, CEO di Nefid
Questo esempio di virtual human ha uno straordinario punto di forza rispetto ad altri modelli, non è soltanto business driven, ma è anche e soprattutto social driven, perché si occupa di tematiche sociali attuali e perché, come dice uno dei suoi creatori, Filippo Boschero, CEO di Nefid, che realizza digital humans e avatar hyper realistici, metaverse ready e sostenibili, «cerca di essere la voce di chi non riesce a esprimere ciò che è o vuole essere e per questo si sente recluso in un mondo che non vede come proprio.»
Nefele, inoltre, è uno straordinario punto di connessione tra il web 2. 0 e il web 3.0, un Virgilio, come la definisce Boschero, che accompagna aziende e utenti alla scoperta dell’intelligenza artificiale e dei suoi possibili usi:
«Abbiamo cercato di educare con eventi e collaborazioni per far capire che queste tecnologie non sono sostitutive, ma complementari. Con i virtual influencer le company possono diversificare i ricavi, innovare, avere esperienze scalabili e affacciarsi a nuovi customer. Con loro, le aziende riprendono in mano la pubblicità.»
“Take a leap into the future” è l’invito che Nefid fa sul suo profilo LinkedIn ai propri utenti, un’esortazione a fidarsi e ad affidarsi al futuro, alle tecnologie, a ciò che non conosciamo e non comprendiamo a pieno. Almeno, non ancora. Per questo, il balzo è più che mai necessario.
Per guardare il talk, è sufficiente iscriversi allo streaming sul sito PHYD.