Arte, cultura e salute: il welfare culturale per promuovere il benessere dell’individuo
Il programma Arts on Prescritpion (AoP) del Regno Unito permette ai cittadini britannici di ricevere dal medico di base l’inserimento in attività artistiche e culturali come prescrizione medica. Una soluzione che ovviamente riguarda problemi non clinici, non gravi, ma che dimostra la convinzione che la partecipazione a un’attività creativa possa promuovere la salute e il benessere dell’individuo, quindi della comunità.
AoP è nato, nella sua prima versione, nel 1994 a Stockport, poi, negli ultimi anni, programmi di questo tipo si sono diffusi in tutto il Regno Unito.
È questo quello che si chiama welfare culturale: un’espressione che indica proprio un modello di promozione della salute basato sull’impiego di arti visive e performative e sul rafforzamento del patrimonio culturale in generale.
Cos’è il welfare culturale
«Il welfare culturale è uno strumento per mettere in una relazione sistemica professionisti di discipline diverse e, soprattutto, per promuovere un’integrazione fra istituzioni della salute, delle politiche sociali, delle arti e della cultura», spiega Catterina Seia, presidente di CCW Cultural Welfare Center, ente che opera a beneficio di chi crea, pratica, promuove e sostiene le arti come risorsa di benessere per la collettività.
«Il Cultural Welfare Center è, di fatto, un gruppo di una quindicina di persone che si pongono come pionieri del crossover culturale e dell’osmosi tra tematiche diverse. Siamo stati i primi a parlare di welfare culturale in Italia», dice Seia.
Se impegnarsi in attività culturali e creative può ridurre l’ansia, lo stress, i disturbi dell’umore, allora queste stesse attività possono diventare un ottimo strumento per abbattere i costi del welfare producendo, allo stesso tempo, un miglioramento della qualità della vita.
«Una dinamica che, oltre a portare un aumento del benessere sociale in generale, risulta per assurdo anche auto-sostenibile, nel senso che le economie generate dalla migliore qualità di vita dei malati andrebbero di fatto a finanziare gli interventi culturali migliorativi, con margini di risparmio enormi», aggiunge.
Già nel 2019 un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosceva al welfare culturale un’evidenza chiarissima: l’efficacia di alcune attività culturali, artistiche e creative, come fattore di promozione della salute, anche in termini di sviluppo delle life skill, di benessere soggettivo e di soddisfazione per la vita, e poi, ancora, come misura di contrasto alle disuguaglianze.
La stessa Agenda 2030 dell’Onu, tra i 17 sustainable development goal per il terzo millennio trova nella cultura e nell’arte elementi chiave: come fanno notare dal Cultural Welfare Center, la Nuova Agenda Europea 2030 per la Cultura (maggio 2018) rilancia la dimensione dei crossover culturali, ovvero le relazioni sistematiche e sistemiche della cultura con altri ambiti di policy, come pillar nelle politiche sanitarie, sociali, civili, ambientali delle prossime decadi.
Il panorama italiano
In Italia il welfare culturale si pratica da diverso tempo, in molti modi: ci sono buone pratiche consolidate negli ultimi due decenni, soprattutto in Piemonte, Liguria, Lombardia, Toscana e Lazio – secondo le informazioni fornite dal Culturale Welfare Center.
La Provincia Autonoma di Bolzano è stata l’apripista, già venticinque anni fa, di sperimentazioni che hanno influenzato le politiche culturali, rendendole un ottimo strumento di miglioramento della qualità della vita per le persone presenti sul territorio. Non è un caso che Antonio Lampis, membro del Cultural Welfare Center, sia stato direttore della ripartizione cultura della Provincia Autonoma di Bolzano dal 1997 al 2017 – incarico che ricopre nuovamente dal 1 settembre 2020. Dalla sua nomina, Bolzano ha visto un’impennata dei consumi culturali, ha realizzato molte iniziative sul tema cultura e salute fin dal 1998, ha ideato decine di iniziative di marketing culturale convenzionale e non convenzionale e diverse mostre di forte carattere propedeutico in collaborazione con grandi musei.
A Torino è stato avviato, nel 2000, il primo Piano di Rigenerazione Urbana che includeva in modo organico nei Piani di Accompagnamento Sociale progetti con le arti performative nelle dieci circoscrizioni della città, volti alla promozione della qualità della vita e qualità sociale. Mentre la Regione Umbria da tempo promuove attività formative comuni fra l’assessorato alla sanità-servizi sociali e assessorato alla cultura e spettacolo.
Siamo bravissimi a nel mettere in campo progetti molto validi, ma resta ancora molto lavoro da fare soprattutto per creare una cornice in grado di regolamentare in maniera più efficace certe buone pratiche
Catterina Seia, presidente di CCW Cultural Welfare Center
«Fino a qualche anno fa», spiega Seia, «non se ne parlava proprio, di welfare culturale. Questo però è il Paese delle buone pratiche e delle scarse policy: siamo bravissimi nel mettere in campo progetti molto validi, ma resta ancora molto lavoro da fare soprattutto per creare una cornice in grado di regolamentare in maniera più efficace certe buone pratiche, quindi di metterle a sistema per trarre il massimo valore e il massimo beneficio».
C’è però un ultimo punto su cui insistono al Cultural Welfare Center: la cultura non è medicina in senso tecnico-scientifico, non può supplire alle politiche sociali, non può e non deve sostituire il lavoro di un medico di base e della medicina territoriale.
«Ma può avere un ruolo fondamentale – conclude Catterina Seia – nell’accompagnare tutto questo: occorre quindi investire per progettare un sistema strutturato di servizi che, in alleanza con le comunità locali, moltiplichi la portata dei fattori salutogenici e che li renda accessibili, saldando il terribile divario sociale che oggi in Italia esclude dalla salute più di cinque milioni di persone».