Bruno Lanvin: Cosa dobbiamo insegnare ai bambini? Che devono imparare a imparare


«Il futuro del lavoro? Sono ottimista. Sono un’economista, come potrei non esserlo?». Non rinuncia a un tocco di humor, Bruno Lanvin, nonostante a Davos nevichi a dirotto – un mese prima di Burian – e venga da un'odissea di sette ore in automobile, per arrivare nella cittadina svizzera che ospita il World Economic Forum. È qua, Lanvin, per parlare del Global Talent Competitiveness Index 2018, l’indice curato dall’Insead – da lui diretto – insieme a The Adecco Group. L'indice classifica Paesi e città in funzione della loro capacità di essere ecosistemi a misura di talento: «Non è solo questione di attrarre talenti», esordisce Lanvin mentre lo stanno microfonando per andare in scena. «È una questione di far crescere il talento e di riuscire a trattenerlo, se non vuoi che la gente arrivi, prenda un sacco di incentivi e poi se ne scappi dopo due anni».

Partiamo dall’inizio, però. Su cosa fonda il Suo ottimismo sul futuro del lavoro?
Penso che sarà una sfida eccitante. Attenzione, però. È pur sempre una sfida. E bisognerà bilanciare l’innovazione con politiche e misure adeguate, per evitare di perderla.

A cosa si riferisce?
L’elemento centrale di queste politiche è l’educazione. Che va adattata al mercato del lavoro. Dobbiamo insegnare ai bambini a imparare, perché dovranno imparare per tutta la vita. Ci saranno nuove competenze da produrre, sempre nuove. E il sistema formativo non dovrà solamente essere in grado di fornirle, qui e ora, ma dovrà essere adattabile per adeguarsi alle ulteriori rivoluzioni tecnologiche che ci saranno nei prossimi anni. È un sistema che per decenni è rimasto sempre uguale a se stesso e che oggi invece dovrà essere in grado di adattarsi in continuazione al cambiamento.

Non è solo questione di attrarre talenti, tuttavia. È una questione di far crescere il talento e di riuscire a trattenerlo, se non vuoi che la gente arrivi, prenda un sacco di incentivi e poi se ne scappi dopo due anni

Bruno Lanvin, executive director di Insead Global Indices

Tutto qua?
No, ovviamente dobbiamo anche proteggere il resto. I lavoratori la cui professione è minacciata dai robot e dagli algoritmi. Dobbiamo evitare che si crei una faglia tra chi ha accesso ai nuovi saperi e alle nuove tecnologie e chi no. Altrimenti l’innovazione non produce qualità della vita, ma malessere sociale. La qualità della vita è fondamentale per avere ecosistemi competitivi.

Si spieghi meglio…
A tutti piace vivere in posti in cui più gente possibile vive bene, in cui la qualità della vita è alta. E per attrarre il talento devi progettare e costruire ambienti in cui la gente vuole vivere. È necessario, se vuoi davvero essere un polo di attrazione.

E che consiglio darebbe, all’Italia, per diventarlo?
Di non seguire strade precostituite, ma di affidarsi anche alla sua eredità. È importante che gli italiani continuino a studiare il latino, a scuola, perché fa parte della vostra identità. Nella costruzione del talento, la prima regola è non dimenticare mai chi sei e da dove vieni.

Di |2024-07-15T10:04:57+01:00Marzo 21st, 2018|Formazione, futuro del lavoro, MF|0 Commenti
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